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Perplessità sul Residence Sociale ALDO DICE 26X1

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“Il cane sarà anche un essere vivente, bisognoso di cure e di attenzioni…ma io, che sono un essere umano? Valgo meno di un cane? Lo so perché a Sansone vengono destinate le medicine mentre a me si spedisce in ospedale…ma lasciamo perdere”. È il segno di una rabbia crescente, che fuoriesce dalle porte di un edificio denominato Residence Sociale. È l’edificio ex sede dell’Alitalia, occupato da marzo.

Con una busta in mano contenente un paio di sandali destinati ad Agata, un ex inquilina del Residence, Daniele si sfoga. Non vuole esagerare nelle escalation, cerca di rimanere cauto, per quanto può. Ma, ogni tanto, si esprime liberando tutto il rancore trattenuto.

“Qualche tempo fa mi disse che, essendo io pappa e ciccia con Agata e il marito, potevo tranquillamente insediarmi in una stessa stanza con loro.” La serietà profusa dalla proposta è segno di mancata percezione di un senso autentico del vivere comune. “Ma dico io…siamo impazziti? Gli ho risposto che se provava a togliermi dalla mia stanza, si ritrovava la porta sbattuta non in faccia, ma in testa”.

È già da parecchi mesi che il sogno sociale iniziato in Via XXIV Maggio nello stabilimento in disuso dell’Alitalia ha preso una piega non certo confortevole e auspicante per il progetto pensato.

Un canone fisso di 10 euro a settimana, un utilizzo ridotto di bagni e l’usufrutto di un'unica doccia nel pianterreno. E poi, il mantenimento di una condotta non provocatoria, per non rischiare di essere sfrattati, sgomberati da un posto che dovrebbe salvaguardare il benessere di coloro che ne sono privi. I lavori ai piani supereriori che non proseguono, incastrati nella visibilità dei primi piani. "Quando la Bechis viene a fare visita allo stabilimento, viene condotta solo fino al terzo piano. Perché? Perché, oltre, l'edificio presta in condizioni non certo confortanti", si lamenta Igor.

E' successo, nel bel mezzo della sera, che la luce saltasse dallo stabilimento. Il buio ha avuto, così, la possibilità di regnare, tra la rabbia e lo sconforto di un residente e l'altro, impossibilitati a ripristinare la condizione di visibilità a causa della mancanza di chiavi della centralina, possedute dagli eletti.

Agata e il marito sono stati buttati fuori già da parecchio tempo (ora in una roulotte a Nova, in condizioni disagevoli, con l’acqua che entra dal soffitto); a fine agosto anche Igor è stato scacciato a causa di dissidi con le “autorità” auto-costituitesi. E Daniele sembra essere sul filo del rasoio. Esempi di una situazione allarmante, in un contesto che avrebbe dovuto limitare i disagi e le sofferenze. Si tratta di esempi, perché diversi sono stati gli sfratti, illeciti e inappropriati, data la definizione sottesa al luogo.

“Un Residence Sociale che di sociale non ha proprio niente. E poi il nome…Aldo dice 26X1, un vero affronto per il significato forte e ideologico che porta”, dice Igor, amareggiato per la perdita di potenzialità di un luogo che prometteva grandi risultati.

Non si sa dove vadano a finire i soldi che i residenti sono obbligati a versare (certo, qualche idea c’è). La trattoria TSO offre cibo e bevande solo ai gestori; la maggior parte degli inquilini deve provvedere ai propri fabbisogni di tasca propria, oltre ai soldi dell’affitto. L’ingresso nella trattoria è fortemente ostacolato da una porta serrata, aperta da chi di dovere deve controllarne l’accesso. Vi penetra un soffio d’aria quando qualcuno citofona: la porta viene aperta per permettere la visione dell’intruso. Sembrerebbe che bisogna avere un lasciapassare speciale.

Una prigionia nascosta da un termine, Residence Sociale. C’è il coprifuoco. E chiavi di ingresso, ridotte nel numero, destinate ai soli degni di possederle. Premesse che comportano un rientro nel palazzo ad un orario stabilito. Per chi lavora di sera e fa un turno prolungato di notte è un vero dramma. Una tragedia dover sperare in una finestra aperta.

C'erano promesse alla base del progetto. Molte ricoprivano anche un desiderio didattico: istituire diversi corsi da proporre alla collettività, all'interno e all'esterno, per un sociale allargato. Ma ad oggi neanche la mensa preannunciata è stata avviata. Nel merito di un positivo obiettivo raggiunto rientra il corso di italiano per stranieri, corso promesso e avviato. Ma sembra essere l'unico traguardo ottenuto, ad ora.

Un'attività lucrosa in un posto che cercava di sottrarsi allo sfruttamento imperioso di bisognosi. "Non ci penso neanche per sogno a considerare l'idea di fare un corso di sardo". risponde Ettore, pallido in viso perché si è visto la possibilità di scendere dalla sua poltrona solida. Ma non sa dare una spiegazione precisa alla sua affermazione. Le risposte evasive vanno di moda quando la soluzione possibile non è ponderata da una coscienza sporca, che cerca di sviare dal pronunciamento della verità. Tanto abituati a sostenersi sulla pelle degli altri, che fare qualcosa di realmente utile e concreto, non è minimamente considerato. 

Le diverse famiglie che dimorano all’interno del loco sono il freno alle critiche che, da molto tempo, si vorrebbe fare sulla condotta del Residence. Quello che i dissidenti volevano e vogliono evitare è che diverse famiglie bisognose di una dimora venissero sbattute fuori. Già da aprile, c’è stata una spaccatura intestina; all’interno del Residence sono rimasti solo alcuni componenti dei Clochard alla Riscossa.

Weiner Molteni, un leader che ha senza dubbio grosse capacità direttive, una forte personalità, una voce trainante e una dialettica suggestiva. Le sue parole hanno la straordinaria facoltà di far pensare positivo, sperare in qualcosa. Le sue parole smuovono un terreno ricoperto dall’ipocrisia e dall’assuefazione delle persone. Di opere buone, positive e concrete ne ha fatte. L’ultimo esempio viene dall’appena concluso evento della Mensa sotto le stelle. Dove finisce la coscienza di un uomo quando la mente è nascosta da strati di muratura? Parole che non trovano un corrispettivo nell’azione svolta?

È libero arbitrio decidere di sfruttare la situazione allarmante di una persona? Che le buone intenzioni siano sempre destinate a trasformarsi in latenti atti di supremazia?
Quale altra trasformazione dovrà subire uno spazio destinato a progetti grandiosi, prima che la condotta del leader torni a calpestare le mattonelle del segno positivo di una rinascita favorevole allo sviluppo collettivo?

Ma poi, bisogna aspettare il risveglio della coscienza altrui? 

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