Lealtà, fiducia, ascolto, engagement:
le 4 colonne della nuova alleanza terapeutica tra medici e pazienti nell’era della medicina di precisione
Lealtà, ascolto, fiducia, engagement, sono le 4 “parole-chiave” per rilanciare l’alleanza terapeutica tra medici e pazienti nell’era della medicina di precisione e migliorare la comunicazione in tutti i passaggi del percorso di cura oncologico: diagnosi, consenso informato, scelte terapeutiche, partecipazione agli studi clinici, assistenza sul territorio.
A proporle sono Salute Donna onlus, le Associazioni dei pazienti e i medici coinvolti nel progetto di advocacy a tutela dei pazienti oncologici “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”.
Quattro parole chiave per adeguare la comunicazione tra medici e pazienti onco-ematologici al nuovo scenario dominato dalla medicina di precisione. Oggi a Roma, nel corso della Tavola Rotonda “Il patto medico-paziente in onco-ematologia: la corretta informazione come valore e responsabilità” sono stati presentati i principi guida identificati dalle Associazioni pazienti e dai medici coinvolti nel progetto di advocacy e tutela dei diritti dei pazienti oncologici “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”, per rilanciare l’alleanza terapeutica tra medici e pazienti e riattivare la piena fiducia reciproca, messa a rischio dalla crescente complessità delle terapie e dall’accesso dei pazienti alle informazioni attraverso il web.
Al primo posto la lealtà, ovvero il medico non deve nascondere alcuna informazione al paziente, valutandone però l’impatto emotivo, mentre il paziente deve riconoscere al medico la sua autorevolezza.
Il secondo principio è l’ascolto, che implica che il medico utilizzi un linguaggio comprensibile al paziente e che il paziente consideri il medico al quale si è rivolto il suo interlocutore primario.
Terzo elemento la fiducia, quella del medico nella capacità del paziente di comprendere le scelte terapeutiche, quella che deve nutrire il paziente nella diagnosi e nella terapia indicate dal medico.
Infine l’engagement: medico e paziente devono sentirsi egualmente coinvolti nel percorso di cura, mantenendo la necessaria continuità della relazione e impegnandosi nei rispettivi ruoli affinché controlli e terapie non vengano mai interrotti.
Progressi della ricerca, medicina di precisione e Internet stanno cambiando la grammatica della comunicazione tra medici e pazienti oncologici, una popolazione di oltre 3 milioni di persone destinata a crescere al ritmo del 3% ogni anno. Terapie personalizzate e mirate contro specifiche mutazioni, test diagnostici molecolari in grado di predire l’efficacia dei trattamenti sul singolo paziente, farmaci biotecnologici sempre più sofisticati, con la novità della loro possibile sostituzione con i biosimilari: sono alcuni dei fattori che rendono più complesse le migliaia di interazioni quotidiane e aumentano la necessità che la scelta terapeutica si realizzi attraverso un percorso di
condivisione delle informazioni tra medico e paziente. Al medico oggi si chiede di spiegare ai pazienti perché un determinato test genetico o un farmaco innovativo vengono prescritti ad altri e non a lui. Oppure deve fornire ai pazienti informazioni chiare e puntuali nel momento in cui, per esempio, decide di variare la terapia con un farmaco biotecnologico, sostituendolo con un biosimilare.
La tendenza alla cronicizzazione delle malattie oncologiche, grazie all’aumento costante della sopravvivenza è un ulteriore fattore che crea una prospettiva dl comunicazione di lungo periodo e chiama in gioco un nuovo protagonista, il medico di medicina generale, incaricato gestire sul territorio le informazioni sulle terapie. Mentre le informazioni che arrivano dal web possono disorientare i pazienti e incrinare la loro fiducia nel medico.
A tutti questi temi cercano di dare una risposta i quattro “principi” che impegnano sia i medici che i pazienti nei rispettivi ruoli: «Il rapporto medico-paziente è centrale per l'efficacia dei processi sanitari», dichiara Annamaria Mancuso, Presidente di Salute Donna onlus. «In questo ambito l'informazione al paziente riveste un ruolo fondamentale per assicurare trasparenza, condivisione e partecipazione attiva di entrambi al percorso terapeutico.
La prospettiva che noi pazienti favoriamo è quella di un'alleanza strategica con i medici per assicurare la scelta delle migliori opzioni nell'ottica di una medicina sempre più efficace e personalizzata. La comunicazione tra medici e pazienti oncoematologici è parte integrante del nostro progetto, in quanto essere informati è uno dei diritti fondamentali del paziente e attraverso l’informazione i pazienti hanno migliore consapevolezza di tutti i propri diritti».
La “nuova” comunicazione medico-paziente si fonda su due pilastri: da un lato la bioetica che prescrive al medico di confrontarsi non con il paziente, ma con la specifica persona che ha di fronte in un determinato momento; dall’altro, la risposta neurofisiologica che, in presenza di un medico partecipativo ed empatico, attiva una serie di endorfine – ormoni, mediatori, e veri e propri farmaci naturali come la serotonina – e coadiuva gli effetti della terapia farmacologica, aumentandone l’efficacia anche del 30 per cento. Perché ciò sia possibile, anche il paziente deve riporre fiducia nel medico e riconoscergli la giusta autorevolezza.
Un’efficace alleanza terapeutica favorisce anche la sostenibilità del Servizio sanitario perché aumenta la capacità del paziente di segnalare tempestivamente eventuali effetti collaterali, migliora la sua aderenza alla terapia e riduce la conflittualità.
Consenso informato, pilastro della condivisione delle scelte terapeutiche. Ma il linguaggio non è ancora a misura di paziente
«Oggi il Consenso informato appare molto orientato alla protezione legale del medico o dell’azienda che sperimenta un certo farmaco, ma non offre quella sufficiente, chiara e necessaria completezza e consapevolezza delle motivazioni per cui un determinato malato deve ricevere specifiche terapie. Gli elementi necessari sono tutti presenti ma non sono esplicitati in maniera fruibile.
Ne consegue che il paziente “non sa”, perché il linguaggio del Consenso informato così come è costruito è in “legalese”, mentre dovrebbe affrontare e approfondire in modo semplice e chiaro la conoscenza di una certa terapia e le problematiche cui il paziente potrebbe andare incontro».
Felice Bombaci, Responsabile GAPLMC – Gruppo AIL Pazienti Leucemia Mieloide Cronica
Il medico di famiglia e la comunicazione con il paziente oncologico: l’informazione sui farmaci il fattore chiave
«Il medico di medicina generale oggi si deve far carico della nuova situazione nella quale il paziente oncologico vive a casa propria, conduce una sua vita normale, spesso non è più in terapia, ma deve solo essere controllato nel tempo. Il medico generale deve conoscere i farmaci che il paziente assume, deve sapere quali sono gli esami e le indagini che devono essere ripetuti e monitorati.
Ci stiamo attrezzando a ragionare in questi termini ma oggi il medico di medicina generale non solo non può prescrivere i farmaci innovativi, ma non ha accesso all’informazione scientifica su questi farmaci, e ciò nonostante ai medici del territorio sia richiesta la presa in carico di tutti i cittadini, anche quelli con cronicità. Tutto questo denota una visione di povertà culturale e di sudditanza del medico di medicina generale ad altri professionisti».
Claudio Cricelli, Presidente Società Italiana Medicina Generale (SIMG)
Una corretta comunicazione per valorizzare l’importanza delle terapie sperimentalmente convalidate
«Lo sviluppo della medicina personalizzata e della medicina di precisione, coadiuvato dalla genomica, permette a ogni malato di avere un’efficace farmacoterapia individuale sino a qualche anno fa impensabile. Simili avanzamenti tecnologici hanno però un prezzo: la medicina sta diventando difficile da comprendere per i pazienti. Nelle terapie emato-oncologiche, ad esempio, vi sono esami diagnostici dai risultati incerti, troppi dati difficili da valutare, studi clinici farmacologici complicati, effetti indesiderati delle farmacoterapie difficili da comunicare.
Il rischio è che i pazienti diventino preda di ciarlatani o di facili miraggi terapeutici. Solo le terapie sperimentalmente convalidate producono risultati apprezzabili, ma questi devono essere comunicati correttamente al paziente, anche quando l’esito è incerto. Una buona alleanza terapeutica incide positivamente anche sui costi sociali del percorso di cura, facendo diminuire il numero di test diagnostici e di visite, nonché sulla drastica diminuzione del numero di cause di risarcimento da parte dei pazienti».
Andrea Grignolio, Docente di Storia della Medicina, Sapienza Università di Roma
Comunicazione della diagnosi, dare tutte le informazioni, ma pensare anche alle emozioni del paziente
«I medici, come tutto il personale sanitario, hanno un vincolo etico-deontologico riguardo alla comunicazione della diagnosi ai pazienti e non possono esimersi dal comunicare tempestivamente e in maniera chiara ed esauriente non solo la diagnosi ma anche le implicazioni terapeutiche. Alcuni oncologi sono più inclini all’orientamento anglosassone, in cui la comunicazione della diagnosi è immediata e per certi versi è davvero molto esplicita; nell’oncologia italiana è rimodulato tenendo presente l’impatto emotivo della diagnosi. Spesso è necessario ritornare su tutto questo, in quanto bisogna considerare che nel momento in cui riceve la diagnosi, il paziente affronta una shock emotivo e molto spesso bisogna affrontare più e più volte certi aspetti dell’informazione per sincerarsi che il paziente abbia ben inteso il problema».
Paolo Gritti, Presidente Società Italiana di Psico-Oncologia (SIPO)
Test diagnostici e biosimilari: all’oncologo il dovere d’informare, al paziente il diritto di sapere
«La condivisione con il paziente di strategie o scelte terapeutiche o specifiche è di straordinaria importanza, perché un paziente informato è in grado di segnalare tempestivamente eventuali effetti collaterali e di sottoporsi a trattamenti così complessi in maniera continuativa e senza interruzioni, sospensioni o riduzione di dose. Oggi abbiamo un’offerta sempre crescente di test diagnostici che esplorano diverse aree dell’oncologia: Se l’oncologo ritiene che non ci siano indicazioni ad effettuare un determinato esame, deve spiegarne i motivi al paziente che attraverso Internet o il passaparola potrebbe essersi convinto di poterne beneficiare. Per quanto attiene ai farmaci biosimilari, le regole del Consenso informato al trattamento prescrivono ai medici un’informazione puntuale e adeguata al paziente, gli studi di equivalenza, gli studi di pari efficacia e di sostanziale sovrapponibilità degli effetti collaterali. Ben tutelato è anche l’aspetto della continuità terapeutica, dal momento che i pazienti che iniziano un trattamento con l’originatore o con i biosimilari possono continuare con il farmaco prescritto all’inizio. Questo è un diritto importante che bisogna tutelare».
Paolo Marchetti, Professore ordinario di Oncologia Medica, Direttore U.O.C. Oncologia Medica, A.O.U. Sant’Andrea, Roma
Il medico di famiglia “sentinella” nella diagnosi precoce dei tumori
«Il medico di base è la figura di riferimento per i pazienti. Si tratta della persona a cui generalmente da anni il paziente si rivolge e nei confronti del quale nutre fiducia. Ascoltare attentamente i sintomi descritti dal paziente ed intervenire prontamente laddove la terapia consigliata non dia risultati può salvare la vita. Purtroppo, nel caso del tumore al pancreas, è evidente che la maggior dei medici di base non è completamente preparata nel riconoscere i sintomi precoci e questo rende particolarmente difficile l'individuazione della neoplasia in fase iniziale. Formare i medici in modo da dare loro la possibilità di individuare per tempo i segnali del tumore è una priorità. In altri Paesi
europei esistono moduli formativi a cui i medici di base possono accedere online in ogni momento e che riconoscono al medico dei crediti».
Viviana Ferrari, Presidente Nastro Viola
Non solo informazione, serve anche la formazione per un paziente coinvolto nel percorso di cura
«I pazienti chiedono informazioni e hanno bisogno di ricevere messaggi chiari e corretti rispetto alla propria patologia e rispetto a tutte le opzioni terapeutiche che oggi caratterizzano il nuovo scenario oncologico. Una buona comunicazione può produrre maggiori benefici in termini di soddisfazione del paziente, di riduzione di ansia e stress e di migliore cooperazione con il medico, la qualità di vita non dipende solo dalle cure migliori, ma anche dalla capacità di ridurre gli effetti collaterali delle terapie, di saper informare con chiarezza chi deve affrontare queste terapie, e soprattutto da un rapporto di fiducia e di empatia con il proprio medico.
È importante che le Associazioni continuino il loro percorso di “empowerment”, cercando di offrire al paziente gli strumenti che possano essergli d’aiuto nella sua formazione al fine di renderlo maggiormente consapevole della propria condizione e più predisposto all’interazione e all’alleanza con l’oncologo di riferimento».
Stefania Vallone, WALCE – Women Against Lung Cancer in Europe
Partecipazione ai trial clinici, modello per l’informazione ai pazienti in tutte le procedure mediche
«Dalle regole che disciplinano gli studi clinici ha origine l’obbligo di fornire informazioni accurate, per iscritto e in una modalità che sia comprensibile per il paziente, in coerenza con il suo livello culturale, tali da permettergli di comprendere in cosa consisterà la cura a cui verrà sottoposto. Da questa “cultura” degli studi clinici deriva poi la cultura dell’informazione, per ogni tipo di procedura medica, anche al di fuori degli studi.
Le regole di Buona Pratica Clinica definiscono il problema del rischio in uno studio clinico e di come va considerato e pongono questo aspetto come premessa a tutto il mondo della sperimentazione clinica, quale principio ispiratore delle norme di buona pratica clinica: “prima che uno studio clinico venga iniziato, i rischi e gli inconvenienti prevedibili devono essere valutati in rapporto con i potenziali benefici per gli individui che parteciperanno allo studio e per la società, uno studio clinico dovrebbe essere iniziato e continuato solo se i benefici attesi giustificano i rischi previsti.
I diritti, la sicurezza ed il benessere degli individui che partecipano ad uno studio rappresentano l’aspetto più importante di tutti e devono sempre prevalere sugli interessi della scienza e della società”. In questi due punti troviamo tutto ciò che dobbiamo sapere in merito. In particolare, va sottolineata la scelta storica che il rispetto del singolo individuo, e quindi anche della sua volontà, non può essere superato in alcun modo nemmeno nell’interesse della scienza e della società».
Marco Vignetti, Ricercatore Ematologia Università Sapienza di Roma – Fondazione Gimema
Roma, 27 giugno 2017