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MERDA D’ARTISTA, IL LIBRO DEI 60 ANNI

Chiara ha partecipato alla presentazione e ce ne parla

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Martedì 26 maggio si è svolta la presentazione del libro "Merda d’artista, Künstlerscheisse, Merde d’artiste, Artist’s shit", evento organizzato dalla Fondazione Piero Manzoni e Casa degli Artisti, per celebrare i 60 anni dalla creazione di quest’opera diventata un’icona in tutto il mondo.

L’evento ha visto la partecipazione di Elena Manzoni di Chiosca, sorella di Piero Manzoni, e della nipote Rosalia Pasqualino Di Marineo, direttrice della fondazione, che ha saputo raccontare in modo ironico il pezzo d’arte e alcuni aneddoti che riguardavano tutto il fervore che in questi anni si è creato intorno alla Merda D’Artista. Altri ospiti illustri del mondo dell’arte contemporanea sono stati Anna Maria Montaldo, moderatrice dell’evento e direttrice del Museo del Novecento, Luca Bochicchio, storico dell’arte contemporanea, Flaminio Gualdoni, critico d’arte, scrittore e autore del libro: "Piero Manzoni, Vita d’artista" e Marco Senaldi, filosofo, curatore e teorico d’arte contemporanea.

Ho partecipato con molta attenzione alla presentazione nella stupenda cornice di Casa degli Artisti, per scorgere ancora più elementi sulla nascita di quest’opera d’arte e su come l’artista aveva inteso il suo messaggio. Ognuno di questi personaggi autorevoli, ha saputo evidenziare alcuni spunti di riflessione molto importanti, su questo pezzo celebrato ma molto frainteso. Merda d’Artista ha resistito per decenni ed è ancora oggi qualcosa di nuovo, fresco e attuale, è stata citata in canzoni Rap di Salmo, di Coma Cose, in un pezzo dei Baustelle “Fra i Manzoni preferisco quello vero, Piero”; addirittura ha ispirato il nome di un gruppo argentino, attivo dagli anni 80.

Su quest’opera e il suo autore sono state dette molte cose, afferma Rosalia, cheparla delle più divertenti fake news che girano attorno a suo zio. Si diceva che Piero Manzoni fosse alcolista, bohemienne e morto suicida, che per la sua morte abbia chiesto di essere steso sul balcone coperto di neve, oppure che fosse figlio del padrone della Manzotin, (diceria facile da smontare velocemente consultando il web). La fortuna di Manzoni invece fu proprio quella di essere un ragazzo retto che viveva con la famiglia, la quale lo accompagnava nelle sue creazioni sostenendolo economicamente e moralmente. Luca Bochicchio pone alcuni punti base della storia delle scatole, entra nel messaggio di Manzoni, partendo da alcune dichiarazioni illuminanti: “L’impronta è l’unico segno della personalità dell’artista che si possa ammettere” Ho sempre pensato che la firma, fosse un’espressione intima della personalità, un segno che racconta di noi, identifica, un nostro marchio unico, ma questa frase mi ha fatto riflettere su quanto l’impronta digitale sia qualcosa di ancora più profondo e primitivo. Oppure: “Se i collezionisti desiderano qualcosa di unico, veramente personale dell’artista, ecco allora la merda”.

Manzoni rema contro la teoria, secondo cui l’artista metta nelle opere la propria sensibilità, il senso del romantico; con la Merda d’Artista crea una polemica, e mettendo in vendita le sue scatole di latta a peso d’oro, chiede fiducia creando un enigma racchiuso che diventa opera d’arte e valore, qualità che non ci sarebbe una volta aperta. Questo pezzo possiede il senso di una reliquia, lo spiega bene Frigerio Gualdoni quando fa il paragone con un osso tenuto in una teca, nell’immaginario appartiene a un santo e questo fa nascere il mito, il valore, la curiosità, un dilemma; così come un contenitore. Marco Senaldi, filosoficamente, descrive questo pezzo d’arte come uno scacco che dura nel tempo, rimane moderno, diventa il classico. Come Dante che crea nella sua mente un viaggio psichedelico che resiste nei secoli, come L’Infinito di Leopardi che descrive la siepe la quale, come la scatola di latta, delimita da ciò che va oltre, l’infinito.

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