Una presenza rivelata attraverso l’assenza stessa di una presenza. È la rivisitazione di un luogo mediante un trascorso saturo di anime trapassate, derelitte di una società che le ha rifiutate, respinte e isolate in una struttura dal nome sinistro per la conoscenza e consapevolezza attuale che se ne ha: il manicomio.
Quello che viene messo sotto la lente di ingrandimento dell’obiettivo fotografico è l’ex ospedale psichiatrico Giuseppe Antonini, noto come il Manicomio di Mombello di Limbiate.
Un gruppo ben assortito di una ventina di fotografi ha collaborato ad un progetto comune che ha avuto come obiettivo quello di far emergere nel presente un passato schiacciato dalle macerie di un grosso edificio in stato di abbandono, risalente al lontano XIV secolo. Un anno di tempo per riportare alla luce anni e anni di storie utilizzando l’impatto visivo di immagini suggestive nell’immediatezza delle sensazioni che suscita e sconcertanti nell’impatto emotivo di percezioni viscerali.
Il 20 settembre ha dato l’inizio ai quindici giorni di eventi legati allo studio fatto sull’ex ospedale psichiatrico di Mombello, all’interno di Spazio Arte.
Il gruppo che si è occupato dello studio, della ricerca e dell’elaborazione fotografica di quanto osservato è Freecamera, composto da 25 soci e attivo a Sesto San Giovanni da 14 anni.
La giovane fotografa Giulia Tini ha raccontato il percorso, le dinamiche e la sensibilità del lavoro:
“Abbiamo dovuto effettuare parecchi sopralluoghi per cercare di dare una forma virtuale alle stanze e agli edifici dell’ex manicomio. Siamo partiti dalla forte percezione dell’assenza per cercare di creare, attraverso le immagini, la sensazione della presenza. L’obiettivo di questa mostra è quindi quello di dare una dignità e di coltivare anche la memoria; cioè attraverso le fotografie volevamo dare fisicità alle esistenze che hanno vissuto all’interno del manicomio e anche dare un senso alle stanze oramai vuote e dimenticate. Un altro punto su cui volevamo soffermarci era la sofferenza delle persone che hanno vissuto lì dentro data proprio dalla malattia e dalla loro emarginazione. Per questo motivo la mostra si intitola Assenze Presenze”.
Il primo giorno di esposizione della mostra fotografica è stato accompagnato dall’esibizione dell’ensamble teatrale del laboratorio D.U.B con la performance Stanze, nata dalla percezione che gli interpreti hanno avuto dei contenuti e delle figurazioni delle immagini fotografiche. Tre minuti per ciascun attore in cui comunicare consapevolezze e incertezze, timori, agitazioni, perplessità e lacerazioni.