L’UNIONE EUROPEA NON DIFENDE LA FILIERA ITALIANA DEL RISO DALLE IMPORTAZIONI ASIATICHE
Fallita la missione della Commissione europea in luglio in Cambogia – Ente Nazionale Risi chiede l’immediato ripristino dei dazi doganali - Organizzata per gennaio 2017 una riunione a Milano di tutti i Paesi europei produttori di riso
L’Ente Nazionale Risi ha organizzato a gennaio 2017 a Milano una riunione di tutti i Paesi europei produttori di riso (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Francia, Romania, Bulgaria e Ungheria) per creare un fronte comune nel confronto con l’Unione europea. La posizione italiana è quella di richiedere l’immediato ripristino dei dazi alle importazioni di riso da Cambogia e Myanmar, aboliti nel 2009.
L’emergenza è determinata dal record delle importazioni comunitarie di riso lavorato “Indica” nella campagna 2015/2016 e dalla riduzione delle esportazioni comunitarie che hanno generato un aumento degli stock comunitari di riporto nella campagna attuale.
L’Italia, con i suoi 234 mila ettari coltivati a riso e un consumo pro capite annuo di 6 kg, è il primo Paese produttore di riso dell’Unione europea. Nella filiera italiana operano 4.265 aziende risicole e circa 5.000 addetti, circa 100 industrie risiere, di cui 6 detengono complessivamente più del 50 % del mercato. Il riso lavorato rappresenta un giro d’affari di circa un miliardo di euro. Il risotto, che si prepara esclusivamente con varietà di riso prodotte in Italia, va ricordato, è ormai un prodotto tipico del food made in Italy, non a caso celebrato anche nel recente Expo2015.
Ma questa realtà è messa in pericolo dalle importazioni di riso “Indica” a dazio zero da Cambogia e Myanmar. Nel 2015 l’Unione europa aveva raccomandato al governo cambogiano di stabilizzare i volumi dell’export di riso verso l’Europa, ma la promessa è stata totalmente disattesa, tanto che la Commissione europea ha nuovamente inviato una sua delegazione in Cambogia il 13 luglio 2016; un incontro che non ha prodotto alcun risultato concreto.
“In realtà l’impegno della Commissione sembra essere soltanto di facciata – ha dichiarato Paolo Carrà, Presidente dell’Ente Nazionale Risi - perché non ha mai voluto, sinora, assumere decisioni formali nei confronti di Cambogia e Myanmar. Le sole promesse degli operatori cambogiani non bastano a salvaguardare gli interessi della filiera risicola comunitaria. È necessario quindi unire le forze per arrivare a Bruxelles con una posizione comune che convinca le Istituzioni comunitarie ad agire con rapidità”.
In Italia la raccolta del riso sta procedendo a pieno ritmo grazie alle belle giornate autunnali. Alla data odierna, la raccolta ha raggiunto il 60% della superficie seminata, ma, considerato il ritardo delle operazioni rispetto all’anno scorso, è ancora impossibile preventivare l’entità della produzione.
La produzione italiana è destinata per un terzo al consumo interno ed il resto è avviato all’esportazione in Europa e nel mondo. In Italia si coltivano circa 140 varietà. Il riso, secondo la normativa europea, si può suddividere in chicchi tondi (adatti per minestre e dolci), medi (timballi, sartù, etc.), lunghi A (risotti) e Lunghi B - Indica (contorni). Le varietà vanto dell’alta gastronomia italiana nel mondo e predilette dai grandi chef sono il Carnaroli, l’Arborio ed il Vialone Nano.
In Italia opera un avanzato Centro Ricerche sul Riso, realizzato dall’Ente Nazionale Risi a Castello d’Agogna, vicino Mortara in provincia di Pavia, non lontano da Milano. Le attività di ricerca e di sperimentazione sviluppate dal Centro Ricerche sul Riso sono articolate in tre settori principali: miglioramento genetico e biotecnologie; agronomia e difesa della coltura nell’interesse di una risicoltura sostenibile; chimica e merceologia (unico laboratorio nell’Unione europea accreditato per le analisi merceologiche sul riso). È anche presente “la banca del germoplasma” che conserva circa 1.500 semi di tutte le qualità di risi italiani e del mondo, unica nel suo genere.
IL RISO. DATI E CURIOSITA'
E' NATO |
In Cina. Si sono trovate tracce dell’esistenza del riso risalenti al 6.000 avanti Cristo. |
In Europa |
Fu probabilmente Alessandro Magno che, attraverso la conquista dell’India, fece conoscere il riso al mondo occidentale. Né i Greci né i Romani lo coltivarono però direttamente: continuarono ad importarlo dall’India servendosi delle carovane che facevano capo ad Alessandria d’Egitto. Grazie agli Arabi il riso venne diffuso e coltivato nel bacino del mediterraneo: in Spagna, nel regno di Napoli e poi in Lombardia ed in Piemonte. |
In Italia |
Documenti risalenti al 1200 testimoniano l’uso del riso presso le famiglie nobili ed attestano le prime coltivazioni presso conventi e monasteri. Nel 1250 lo troviamo menzionato nel libro dei conti di Savoia come materia prima estremamente costosa per la preparazione dei dolci. Nel 1336 gli speziali di Milano lo vendevano a 12 imperiali alla libra contro gli 8 del miele. |
DUE PERSONAGGI ILLUSTRI LEONARDO DA VINCI |
Verso la fine del ‘400, quando Ludovico il Moro diventa signore di Milano, Leonardo suo sopraintendente alle opere idrauliche, convince il Moro che regimentando le risorse idrauliche si potranno ottenere risultati sorprendenti nella Lomellina dove già si coltiva riso. Leonardo disegna nuovi canali e ingegnosi congegni idraulici, che funzionano ancora oggi, contribuendo così allo sviluppo della risicoltura. |
CAMILLO BENSO CONTE DI CAVOUR |
Camillo Benso conte di Cavour, ”regista” dell’unità d’Italia, è anche il padre della risaia: fin dal 1835 capì che riorganizzando lo sfruttamento delle risorse idriche avrebbe risolto il problema delle carestie e, dal 1850, come ministro dell’agricoltura, promosse una serie di opere decisive per lo sviluppo agricolo piemontese. Il progetto culminò nella costruzione, finita nel 1866, cioè dopo la sua morte, del canale Cavour che, mettendo in comunicazione il Po, la Dora Baltea, la Sesia, Il Ticino e il Lago Maggiore creò un comprensorio irriguo di 400.000 ettari che ancora oggi è il cuore della risicoltura nazionale. |
nel mondo |
Si aggira intorno ai 470 milioni di tonnellate, coltivate su un’area di oltre 160 milioni di ettari, pari ad oltre cinque volte la superficie dell’Italia. Cina ed India ne producono circa il 60%, seguite da Indonesia, Bangladesh, Thailandia, Giappone, Birmania, Filippine, Brasile, Corea, Stati Uniti, Giappone e Pakistan. Bisogna inoltre considerare la resa sul campo (dovuta alla natura del terreno ed alle tecniche di coltivazione) che vede la Cambogia con soli 15 quintali per ettaro ed al polo opposto l’Australia con circa 80 quintali per ettaro. Nell’emisfero settentrionale si concentra il 90% della produzione mondiale. Le varietà conosciute e coltivate nel mondo sono circa 5.000, perlopiù di stirpe indica, dai granelli lunghi, affusolati, vitrei (come il Patna ed il Basmati, amati nella cucina orientale). |
nell’Unione europea |
Si producono circa 1,7 milioni di tonnellate di riso: in Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Francia, Romania, Bulgaria ed Ungheria. |
in Italia |
Si producono circa 1.500.000 tonnellate di riso su di una superficie di 234.300 ettari (dato 2016): l’Italia è il primo produttore europeo. Un terzo della produzione è destinato al consumo interno ed il resto è destinato all’esportazione in Europa e nel mondo, dove il riso italiano è sempre più apprezzato. Nel nostro Paese si coltivano circa 140 varietà. Il riso, secondo la normativa europea, si può suddividere in chicchi tondi (adatti per minestre e dolci), medi (timballi, sartù, etc.), lunghi A (adatti per risotti: le varietà vanto dell’alta gastronomia italiana nel mondo e predilette dai grandi chef sono l’Arborio, il Carnaroli ed il Vialone Nano) e lunghi B indica (adatti per contorni). |
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Oggi sono 4.265, con una estensione media di 55 ettari. Nel 1939 occorrevano in media 1.028 ore di lavoro umano per ettaro, nel 1952 si era scesi a 771 ore, nel 1971 a 140 ore, nel 1977 a 66. Oggi 45-50 ore per ettaro, con punte al di sotto delle 35 nelle grandi aziende ben organizzate. Gli addetti del settore agricolo sono oggi circa 5.000 per un giro d’affari che si aggira intorno ai 500 milioni di euro. |
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A seconda della varietà, della natura del terreno e delle condizioni ambientali occorrono dai 150 ai 200 kg di semente per ettaro (circa un trentesimo di quello che si raccoglierà). Dato che ogni seme dà origine a diversi fusti, si ottiene una densità di pannocchie compresa fra 250 e 400 al metro quadro. |
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Per ogni ettaro circa 6/7 tonnellate di risone, con circa 100 chicchi per ogni pannocchia. Da ogni 100 kg di riso greggio si ottiene circa 60 kg di riso commestibile. |
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In Italia sono circa 100, ma sei realtà industriali detengono complessivamente più del 50 % del mercato. Il riso lavorato rappresenta un giro d’affari di circa un miliardo di euro. |
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I popoli primitivi non erano in grado di “sbiancare” il riso. Lo conservavano completo di buccia (lolla) e lo sgusciavano solo al momento dell’uso, spesso per trasformarlo in farina. Le prime macchine per sgusciare il riso compaiono in Italia nel 1600 con il nome di “pile” (dal francese piler, pestare con un mortaio). Oggi il processo di lavorazione è molto diverso, ma rimane assolutamente naturale: il riso greggio passa attraverso le macchine selezionatrici (calamite per eliminare corpi ferrosi, setacci, spietatrici per eliminare le pietre, etc.), gli sbramini (macchine che separano il riso dalla buccia o lolla con delicatezza per non rompere i chicchi), le macchine sbiancatrici che asportano la pellicola esterna del chicco mediante mole a smeriglio, i separatori alveolari e le selezionatrici a fibre ottiche che eliminano i chicchi rotti, quelli imperfetti e macchiati. Sono trattamenti meccanici che lasciano inalterate le proprietà nutritive del chicco: infatti il riso è il cereale più diffuso che viene consumato senza essere trasformato, così come nasce nel campo arriva sulle nostre tavole, dopo una semplice azione di pulitura. |
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che già gli antichi Egizi usavano: un procedimento di macerazione in acqua calda ed essiccazione al sole del riso, per meglio conservarlo. Questo metodo venne “riscoperto” dagli americani durante la seconda guerra mondiale perché dava garanzia dal punto di vista nutrizionale e di lunga conservazione. Oggi, con le moderne tecnologie, il riso viene lavorato con vapore ad alte temperature e rapidamente essiccato su di un letto d’aria. Questo procedimento naturale, idrotermico, offre molteplici vantaggi: l’esposizione al vapore gelatinizza l’amido rendendolo resistente e fa sì che molte delle preziose sostanze nutritive della pula passino all’interno del chicco. Il chicco parboiled è quindi più ricco di nutrienti, più resistente, si conserva meglio ed è facile da preparare, perché cuoce in soli 10/12 minuti e non scuoce. |
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La disponibilità al consumo è di 6 kg. Il consumo del riso bianco in Italia, dopo essere rimasto stabile per circa 20 anni, oggi è in aumento. Il riso parboiled (sia per risotti che per le insalate di riso) ha registrato una crescita interessante e costante negli ultimi anni, incontrando il favore delle consumatrici più giovani e quelle del centro e sud Italia, meno legate alla tradizione gastronomica delle zone risiere per eccellenza come la Lombardia, il Piemonte ed il Veneto. Il gradimento maggiore è dovuto ai tempi di cottura più ridotti (10/12 minuti) ed alla contemporanea tenuta in cottura. |
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tradizionali italiane sono più di 130, dall’antipasto al dolce. Dal risotto, inventato nella pianura padana, al sartù, vanto della cucina napoletana, agli arancini siciliani. |
…con il chicco giusto |
ogni ricetta vuole il “suo” chicco:
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in cucina dai grandi chef come da chi ama alimentarsi in modo sano, leggero, energetico, con semplicità unita alla velocità di preparazione. |
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complemento della dieta mediterranea |
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