Parenti serpenti: quando le relazioni affettive fanno male.
Evitare o affrontare il confronto? L’arma a doppio taglio delle relazioni parentali
Non è un luogo comune quello di imbattersi in situazioni di criticità con un parente. Le dispute familiari sono la faida delle cattive relazioni che spesso non ci scegliamo, ma che siamo obbligati a gestire perché si tratta di nostri parenti. Litigare,mentire, arrabbiarsi, allontanarsi sono le reazioni verso un contesto parentale spesso complicato in cui la maggior parte delle volte non si vuole trovare una soluzione. Porre la propria persona dinanzi a tutto e a discapito dell’altro in una relazione affettiva, diventa l’unico modo per far comprendere in forma egoistica, il disinteresse verso ciò che ci circonda. In realtà proprio quest’ultimo atteggiamento non permette la costruzione di una comunicazione efficace, di un confronto costruttivo, quindi spesso ci si lascia trasportare dell’istinto, dalla rabbia, dall’odio, dal rancore e l’allontanamento verso il parente diviene l’unica via d’uscita. Le relazioni parentali allora, quando sono“nocive” per l’individuo e in che modo potrebbero essere affrontate?
Sono varie le motivazioni che portano a relazioni nocive; tra le più importanti ricordiamo i contesti in cui si vivono malattie, ancora situazioni di contese patrimoniali, fino alle scaramucce per gelosie, in cui gli attori si stuzzicano vicendevolmente per mostrare chi è il più forte o il più ricco.
“Parenti serpenti” diventa una frase distruggente rapportata alla realtà che accomuna molte famiglie; è l’emblema subdolo delle dipendenze affettive verso gli altri. Il benessere dell’uomo dipende dalla qualità e quantità d’amore che si da e che si riceve, ciò significa che viviamo di relazioni, non possiamo farne a meno proprio perché attraverso esse ci connotiamo nella società. Quando attraversiamo un periodo critico, siamo maggiormente “bisognosi d’amore”, ovvero, vogliamo colmare il vuoto che sentiamo dentro. Pertanto suscettibili a livello emozionale ed incapaci di generare amore autonomamente, diveniamo “dipendenti d’amore” e allo stesso tempo assoggettati agli altri. Lo stato psicofisico dell’individuo migliora o peggiora proporzionalmente alla qualità e quantità di relazioni di attaccamento che si sono costruite. Le relazioni di attaccamento riguardano anche i legami instaurati con i parenti. Nelle situazioni complesse di malattie ad esempio, l’atteggiamento sistematico è l’allontanamento verso l’ammalato e la famiglia che lo sostiene. La malattia spesso non viene o non vuole essere compresa. Si reputa che non si riesca a gestire il peso e l’abbattimento psicologico che essa comporta. L’abbandono generalmente è il modo più comune per divincolarsi dalle relazioni parentali critiche. Paradossalmente è proprio in tali momenti di grandi difficoltà, che si ha bisogno di essere supportati anche solo moralmente; allora pur di accontentarci di qualche goccia di affetto, facciamo di quell’amore una forma di bene “usa e getta” diventando ciechi alla violenza subita. Psicologicamente scegliamo così di ottenere, una relazione nociva pur di ricevere attenzioni e piccole spremute di affetto. Tali relazioni affettive fanno molto male e diventano un’arma a doppio taglio in quanto, venendo meno la lucidità e il raziocinio ci si accontenta di relazioni parentali opportunistiche e momentanee. La controparte è rappresentata da individui che spesso si reputano “parenti”, ma che nella realtà dei fatti manifestano una forma di bene distorto ed espressa egoisticamente, nelle condizioni di miglior comodo ed interesse. Nei casi in cui le relazioni parentali diventino un modo come un altro per avvicinarsi agli altri cercando aiuto e sostegno, è fondamentale comprendere in che modalità tali relazioni siano percepite e valutate qualitativamente, al fine di non diventare una “preda” di dipendenza affettiva a danno di noi stessi. Amare l’altro nelle sue sfaccettature e problematiche è una vera e propria assunzione di responsabilità, che non può essere considerata nelle relazioni parentali, come un obbligo o dovere temporaneo, il cui obiettivo è la strumentalizzazione spesso della persona che ne ha bisogno.Diventa difficile in situazioni familiari in combutta, che gli individui siano disposti a mettersi in gioco e a far trasparire la propria umanità e volontà verso un amore incondizionato. Il confronto pertanto, se fallimentare è necessario effettuarlo con se stessi, unici artefici del destino a cui si va incontro. Siamo e saremo capaci di generare amore verso gli altri e verso noi stessi, perché volersi bene significa avere la consapevolezza ed il coraggio di non accontentarsi di relazioni parentali nocive.
Dott.ssa Rossana De Crescenzo Psicologa del Lavoro, Formatrice Professionale, Orientatrice Scolastica e Professionale, esperta in Psicopatologia Forense, amministratrice del sito di consulenza on line www.psychojob.com