Crescono i casi di discriminazione lavorativa in organizzazioni pubbliche e private. Si può essere discriminati per vari motivi, quali: religione, orientamento politico, sessuale, per ragioni di salute e preconcetti personali. Le discriminazioni possono essere agite in modo diretto ed indiretto, ed in entrambi i casi si hanno determinate reazioni psicologiche, che condizionano temporaneamente o a lungo termine le relazioni tra le presone. Spesso diventa difficile per gli individui, riuscire a dimostrare la condizione discriminatoria e averne coscienza. La consapevolezza, emerge nel momento in cui si tende a confrontarsi con altri colleghi e a constatarne un diverso trattamento; ad esempio quando si vuole usufruire di permessi legati alla salute, per assistere un familiare ammalato o per i figli. In questi casi, si può essere esclusi dai premi di produttività aziendale, pur in mancanza di accertamenti oggettivi che verifichino la minore o maggiore produttività del dipendente. Le stesse molestie sono considerate “atti volti alla discriminazione” in quanto, non hanno solo connotazione sessuale, ma si manifestano con comportamenti vessatori, il cui obiettivo è mirare alla dignità dell’individuo. L’instabilità emotiva e umorale che ne deriva può essere paragonata ad un vulcano in fase di eruzione. I dipendenti discriminati, sono disorientati, perchè non sanno effettivamente come comportarsi, in presenza di un clima teso ed offensivo. Di qui l’insorgenza di malesseri psicofisici, quali deconcentrazione, emicrania, vertigini, ansia ed attacchi di panico. Diventa difficile per un dipendente discriminato, riuscire a costruire rapporti leali e spontanei con i colleghi in quanto, si teme spesso di essere giudicati, offesi ed esclusi dalle dinamiche di gruppo. In circostanze del genere in cui la tensione giunge ad alti livelli, lo stress percepito è così elevato, da cagionare insicurezza interiore e abbassamento di autostima. Il cattivo umore inoltre e i sintomi psicofisici, vengono trasferiti e vissuti anche nella vita privata, in famiglia, poiché ci si sente intrappolati, abbandonati da un contesto forte di riferimento come quello lavorativo. Lo stress allora, viene agito e canalizzato nel modo meno appropriato all’intero delle relazioni sociali. I dipendenti discriminati possono ottenere un feedback psicologico, per comprendere la presenza di patologie dovute all’azione discriminatoria subita, al fine di valutare il cosiddetto danno biologico, morale o psicologico legato al fenomeno. Successivamente attraverso dei tentativi di mediazione supportati da associazioni e sindacati, si espone la gravità lavorativa al datore di lavoro, il quale ha il dovere di garantire la salute psicofisica dei dipendenti. In mancanza di un’azione positiva, legata alla stabilità e salute lavorativa dei dipendenti da parte del datore di lavoro, allora l’individuo può attraverso il supporto di un avvocato giuslavorista, valutare la possibilità di rivolgersi al tribunale, al fine di ottenere un provvedimento di cessazione al comportamento. Ciò che diviene fondamentale è il confronto sincero e chiaro con il datore e i colleghi di lavoro, per palesare la presenza di tali atti discriminatori costanti e la sofferenza vissuta. Tale consapevolezza è necessaria per comprendere le dinamiche di gruppo e l’eventuale messa in atto di comportamenti risanatori da parte di tutti gli attori, prima di giungere ad azioni di mediazione sindacale, associativa o legale.
Dott.ssa Rossana De Crescenzo Psicologa del Lavoro, Formatrice Professionale, Orientatrice Scolastica e Professionale, esperta in Psicopatologia Forense, amministratrice del sito di consulenza on line www.psychojob.com ; www.tooup.com ; www.eating.bio