Benvenuti miei carissimi lettori e lettrici di Dreaming of Art,
questa settimana via parlerò della macchia nera.
Qualche giorno fa in preda ad un delirio lavorativo, immersa nel mio lavoro, quasi giunto al termine, dopo ore di inesauribile ispirazione, ecco, improvvisamente sulla tela mi si rovescia una cascata di colore nero!
Eccola lì, la macchia nera, che non mi dà tregua che mi segue anche quando non me lo aspetto, che mi sorprende quando sono più indifesa, che si nasconde dentro un barattolo di vernice rigorosamente nera!
Presa all’improvviso dalla folle disperazione di fronte ad un lavoro quasi terminato, non sapevo se piangere o inorridire, talmente ne fui scossa.
Poi cercai di calmarmi, mi feci un caffè e tornai a guardare la macchia che non si era fermata; si era allegramente distesa sul mio operato di giorni, silenziosa ma insolente, mi parve che nel suo silenzio si stesse prendendo gioco della mia stoltezza.
La furia tornò, ma non potevo toccarla quella macchia; il disastro non avrebbe fatto altro che aumentare!
Mi sforzai di osservarla, zitta ,ci guardammo negli occhi come due guerrieri, studiando le prossime mosse e quel tempo mi parve eterno!
La prima cosa che mi venne in mente fu di provare a rimediare, pensando a quali e quanti strati di colore avrebbero ricoperto il disastro nero, ma più pensavo e più la questione mi sembrava ingestibile, avrei dovuto ricominciare tutto dall’inizio!
La tensione tra noi si respirava, era in atto una guerra fredda, ma più la guardavo e più la rabbia lasciava spazio alla disperazione, alla frustrazione, al pianto per tutto ciò che era andato perso, la odiavo quella macchi nera!
Lasciai perdere mi allontanai dalla tela rovinata e cercai di pensare ad altro, ma la sua vista mi accompagnava, comparendo in ogni meandro della memoria, non potei fare altro che trascorrere quella giornata nella tristezza più infinita, vittima della mia carnefice.
Quella notte non dormii, pensai alla mia macchia; il mattino dopo la rividi, mi feci coraggio e mi avvicinai, era lì, ormai immobile, aveva preso la sua forma definitiva, si era asciugata, seccata e non mi sembrò poi così tanto forte come il giorno prima.
Affilai unghie e cervello e mentre mi preparavo a fronteggiarla armata di pennelli mi sovvenne alla memoria quello che il mio padre spirituale soleva ripetermi quando, presa dal mio desiderio di precisone assoluta, mi disperavo di ciò che non andava bene nella mia vita:“Davanti ad un immenso foglio bianco, vedi solo la macchia nera!”.
Il mio caro Don Gianni aveva ragione; alla luce di quella illuminazione abbandonai i pennelli e mi avvicinai alla tela, questa volta più attenta, rivolsi alla macchia un solo sguardo fugace e cominciai, sforzandomi a guardare tutto intorno.
Intorno era rimasto parte del mio nuovo progetto, un volto umano che risultava tremendamente sfigurato dalla macchia, i colori si mischiavano ad essa ma, con grande sforzo, cominciai a notare che il resto del dipinto esisteva, aveva una vita propria, nonostante una sua parte fosse andata distrutta.
Il dipinto non era sparito, i suoi colori parevano risultare ancora più forti accanto alla macchia, quasi urlanti, travolgendomi come mai prima in un turbinio di emozioni, il quadro non era perso, era solo completamente cambiato!
Mi lasciai cadere sulla sedia, questa volta abbandonata all’emozione repressa, sul viso le lacrime scesero come acqua, senza freni.
La macchia mi guardava, nel silenzio ora potevo sentirla parlare; essa mi raccontò la sua storia, la storia di una macchia scivolata per caso, per volere del fato, su una tela a lei estranea, una tela che lei aveva abbracciato senza neppure conoscerla.
Non era colpa sua se era nata nera, se questo nome scomodo il mondo le aveva dato, non era il suo desiderio farmi soffrire ma il suo compito era di fermarmi, perché potessi comprendere il mondo intorno a lei e non solo lei.
Ora si, avevo compreso, mi alzai, mi allontanai ancora dal mio quadro, la macchia nera era diventata mia amica, amica in un destino che ci aveva unite, provai compassione per lei, lì sola, persa più di me in un immenso foglio di colore, doveva sentirsi estremamente sola.
Il mio sguardo d’ira si perse in quei resoconti, e avvicinandoli accarezzai la macchia, lentamente, come accarezzassi un cuore, posai definitivamente i pennelli e riguardando il tutto, conclusi che era la macchia a dare il significato al resto.
Quella era la mia opera; un’opera è essa stessa una macchia, una macchia composta da una forma che io le avevo donato e un’altra destinata dal caso.
Quell’opera era l’opera della mia vita!
Sorrisi alla macchia, nel suo ingombro mi aveva resa più forte, più comprensiva, più attenta, più determinata a comprendere la bellezza del tutto senza soffermarmi su un unico dettaglio; il dettaglio non è altro che piccola parte del tutto.
Ridendo ricordai che da bambina sul giornale Topolino, tra i tanti personaggi presenti, uno portava proprio questo nome: Macchia nera!
Lei era già famosa!
Presi la tela, la voltai e con grande orgoglio la intitolai : “ The black spot”.
Vi aspetto a giovedì prossimo con una nuova emozione di Dreaming of Art .