Benvenuti miei carissimi lettori e lettrici di Dreaming of Art,
vi parlerò di un personaggio che da poco ci ha lasciato, David Bowie.
Vi parlerò di lui perché rappresenta ciò che è un artista, un insieme di mille sfaccettature, di pigmenti, che quando si incontrano sulla tela del mondo lasciano un inconfondibile segno, quello di una personalità così forte da non poter esistere solo in una univoca direzione artistica, ma al contrario si estende a tutto il mondo dell’arte , dalla musica, alla pittura, al cinema, fino alla realizzazione di veri e propri altri sé.
Non posso assolutamente dire che sono cresciuta con le sue canzoni, né tantomeno che esse siano state la colonna sonora della mia vita, ma ho riconosciuto un “personaggio” dalla prima volta che l’ho visto.
Bowie non si è dedicato solo alla musica ed il mio primo incontro con lui è stato proprio attraverso il cinema, nel film Labyrinth.
Avevo una decina di anni era il 1986, quando, lo ricordo benissimo, a casa con la febbre e dalla scuola, alla tv proposero un film che restò nel mio immaginario a lungo, fu il primo incontro con Bowie.
Un uomo, una maschera, un artista ?
Nella mia fantasia tutte queste peculiarità si fusero a creare David Bowie, un uomo che in seguito avrei sempre riconosciuto.
La sua è stata una carriera lunga cinquant’anni dal suo primo singolo, fondatore del glam rock, una carriera “particolare” , come molte dei grandi artisti.
E’ stato l’uomo dall’ambiguità sessuale, dal grande trucco, dai concerti teatrali, quello che del suo Alter ego, Ziggy Stardust, ha fatto il passaporto per il successo; negli anni settanta il movimento gay britannico lo elesse a suo simbolo, ma egli stesso in un’intervista dichiarò: «La mia natura sessuale è irrilevante. Sono un attore, recito una parte, frammenti di me stesso».
Recitava, recitava così bene che quella stessa recitazione si fuse con la sua immagine reale!
Il suo personaggio, Ziggy Stardust, era solo una maschera creata a tavolino, l'emblema della rockstar, un "cantante rock di plastica" come lo definiva egli stesso, che con la sua ascesa e la sua caduta ripercorreva idealmente la parabola della celebrità, dietro la quale si nascondono l'insicurezza e la fragilità dell'artista.
Bowie aveva confezionato un personaggio con un forte impatto sul pubblico dal trucco pesante e i fumettistici costumi colorati che diventarono elementi necessari per creare una cornice mistica attorno alla figura di Ziggy, quindi attorno a se stesso.
«Sul palco ero un robot. Fuori dal palco provavo emozioni. È probabilmente per questo che preferivo vestirmi come Ziggy piuttosto che essere David».
Nella sua carriera aveva appreso i segreti del mimo e della messa in scena teatrale, elementi fondanti della sua personalita' artistica affermatasi attraverso le ormai celebri interpretazioni, Ziggy Stardust e, in secondo momento, del Duca Bianco, l’algida figura che ha schiuso le porte della new wave.
Per lungo tempo era stato schiavo della cocaina, e non solo, un uomo libero se per questo si intende la libertà, gay, bisessuale, uno che aveva conosciuto ed poi interpretò, nel film “Basquiat”, il ruolo di Andy Warhol.
Amico intimo di Amanda Lear, che in un'intervista nel 2008, raccontò che era stato l'unico uomo con cui fosse mai andata a letto che si truccava più di lei.
Un uomo capace di modificarsi; negli anni '80 il suo personaggio e la sua musica cambiarono, con una nuova clamorosa svolta stilistica che lo portò al il piu' grande successo commerciale della sua discografia, Let's Dance, un raffinatissimo viaggio attraverso il rock'n'roll, il funky, la dance piu' elegante.
“Per me la musica è il colore. Non il dipinto. La mia musica mi permette di dipingere me stesso.”
Un mito, uno dei pochi capaci di conciliare rock e teatro, pop e avanguardia, ambiguita' sessuale e arti visive, trasgressione e letteratura.
David Bowie si occupò anche di pittura, negli anni novanta; i suoi quadri sono stati esposti in molti musei, soprattutto britannici e statunitensi; fondò un'associazione, la BowieArt, che intendeva favorire la visibilità di opere di giovani artisti.
Le sue prime esposizioni risalgono al 1994: "Bosnia War Child", a Londra, presso Flowers East, e "Minotaur Myths & Legends", presso la Berkeley Square Gallery.
Nel 1996 Bowie partecipò alla Biennale di Firenze, alla Leopolda, con un’ installazione composta da un manichino/robot impiccato ad una scatola contenente un ufo luminoso, immerso in un ambiente scuro e ovattato, lo stesso manichino che comparirà poi sulla copertina dell'album "Earthling".
"In realtà mi sento più un pittore che un cantante".
Era, e resterà per sempre un protagonista.
“Essere al sicuro è l’ultima cosa che voglio. Voglio andare a letto tutte le sere dicendo: se non dovessi più svegliarmi, posso almeno dire di avere vissuto da vivo.”
Vi aspetto a giovedì prossimo con una nuova emozione di Dreaming of Art.