Si tratta della ricostruzione dell’incredibile vita del pioniere italiano Filoteo Alberini, che per alcuni potrebbe avere “inventato” il cinema un anno prima dei Lumière, diventa occasione per una riflessione sulla “Settima Arte” e sulla sua natura di “magnifica ossessione”.
Che il cinema sia una malattia, una magnifica ossessione, lo dimostra la storia del pioniere italiano del cinema, Filoteo Alberini. Impiegato statale nativo di Orte, nel Lazio, è stato molto di più di un tecnico prestato all’arte come i fratelli Lumière.
Tra i primi esercenti in Italia, a Firenze; primo ad aprire un “vero” cinema a Roma, il Moderno, a Piazza Esedra, ancora esistente; primo produttore e regista di film a soggetto in Italia: il suo La presa di Roma, del 1905, è considerato da tutti gli storici del cinema “il primo film italiano”. Aveva perfezionato e registrato il brevetto della sua macchina da presa, il Kinetografo,nell’ottobre del 1894 ma questa invenzione cadde nell’indifferenza totale in Italia. Pochi mesi dopo ci sarà il trionfo dei fratelli Lumière e del loro Cinématographe.
Alberini non demorde, fonda la più importante e antica casa di produzione italiana, la Alberini e Santoni - poi divenuta Cines - e continua al tempo stesso il suo straordinario percorso di ricerca arrivando con le sue invenzioni a toccare campi che segneranno la storia del cinema: come la Cinepanoramica, antenata di qualsiasi tentativo di “allargare” il formato di visione del cinema da quello quadrato dei Lumière. La visione stereoscopica e la ricerca della terza dimensione, sarà l’ossessione che lo accompagnerà fino alla morte. Filoteo Alberini, italiano, inventore, esercente, produttore, regista sui generis, è stato un uomo venuto dal futuro o solo un grandissimo impostore, incapace di portare a termine un singolo progetto? È stato un genio inascoltato o il solito idealista italiano senza struttura che ha dovuto cedere davanti all’organizzazione perfetta di francesi e americani? Il documentario cercherà di rispondere a queste domande, a volte con la storia e a volte –
come dice il nostro narratore Georges Mèlies - con l’immaginazione propria del cinema.
Con “L’italiano che inventò il cinema”, ho cercato di dare una cornice più moderna e attuale al classico documentario storico-biografico. Questo utilizzando un particolare tipo di reenactment, relegando la ricostruzione storica al solo personaggio narratore, Georges Méliès, che si muove come un investigatore privato cinematografico nei luoghi di Alberini come sono ora. L’uso di Méliès come narratore, il simbolo dei cineasti dimenticati e poi riscoperti (per Méliès per fortuna ancora in vita), permette inoltre a livello di scrittura la possibilità di giocare con differenti generi e linguaggi come il reportage d’inchiesta, il genere detection, la ricostruzione grafica e un uso particolare, non pedissequo ma narrativo (forzandone anche allo scopo della narrazione il senso), del repertorio messo a disposizione dalla Fondazione Cineteca Italiana di Milano.
Partendo dalle ricerca dalla sola biografa di Filoteo Alberini, Giovanna Lombardi, iniziate ormai più di dieci anni fa, si è cercato in fase di scrittura di porre rimedio a una grande colpa nella storiografia italiana sul cinema: il totale oblio calato su Filoteo Alberini. In qualsiasi paese europeo (non solo la Francia) una figura che avesse fatto solo la metà di quello che ha fatto Alberini sarebbe celebrato nel pantheon degli eroi nazionali. Il soggetto ha cercato – partendo dal doppio senso su “L’italiano che ha inventato il cinema” – di mettere in luce la figura di Alberini non solo per la macchina da presa e proiezione che potrebbe aver inventato un anno prima dei Lumière (questo in compagnia di molti altri pionieri europei) ma per il fatto di aver veramente “inventato” da zero il cinema italiano, in termini di scrittura, produzione e soprattutto, cosa dimenticata spesso, di esercizio con il Cinema Moderno di Roma che è ancora attivo oggi.
Prodotto dalla Blue Cinema TV di Daniele Baldacci, “L’italiano che ha inventato il cinema” ha voluto fortemente mantenere sia nella parte di reenactment che in quella delle interviste agli esperti, una matrice cinematografica. Avvalendosi quindi dell’opera di un regista che viene dal cinema, così come il direttore della fotografia Daniele Baldacci, che ne è anche il produttore, la costumista Paola Nazzaro e il musicista Arturo Annecchino. L’immagine e l’idea complessiva del progetto ha un continuo rimando al linguaggio cinematografico grazie all’apporto di questi collaboratori provenienti da quel mondo.
Il genere biografico sta avendo un grande ritorno commerciale in questi ultimi anni, sia nei canali tradizionali (reti generaliste) che soprattutto nella distribuzione pay tv e SVOD. La grande attenzione verso la biografia filmata come content si può vedere anche con la
creazione di festival dedicati esclusivamente al documentario biografico. Oltre a questo, “L’italiano che inventò il cinema”, può innestarsi nell’interesse dei buyers internazionali per il fatto che parla anche del lato artistico e storico dell’Italia (genere che non conosce flessione) per una volta legato a un periodo della nostra cinematografia insospettato come il cinema dei primordi, rispetto ai classici documentari sul neorealismo e sui grandi registi italiani comici e drammatici degli anni ‘60.