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Due giorni, una notte

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Il begin come politica filmica e l’origin come riscoperta. Ritornare ai primi passi è sempre difficile quando si è da tempo ad alto livello, ma se si riesce a vincere questa sfida allora si attesta il percorso fatto ed il risultato finale.

 La validità dei fratelli Dardenne la conosciamo bene, la riconfermiamo e se siete d’accordo, la identifichiamo nell’attualità. Il loro primo film “La promesse” raccontava il lavoro clandestino; a seguire “Rosetta” film su una generazione che deve fare i conti con i propri padri e il precariato.

Erano gli anni novanta e i Dardenne registravano una realtà. Noi gozzovigliavamo.

A guardare “Due giorni, una notte”, storia di una donna che perde il lavoro e deve rintracciare e convincere i propri colleghi a rivotare affinché riacquisti il posto, le riflessioni non possono mancare.

Alla pari di Ulisse, Alan Quatermain, Atreiu, Sandra deve cercare un posto di lavoro e delle tutele. Vaga con le proprie debolezze e si scontra con colleghi e capi reali ma non molto distanti dai “gran mascalzon.,  figl. di gran croc., lup man.”che erano i megapresidenti di Fantozzi.

All’epoca si rideva, forse per identificazione, forse per estraniamento: “tanto capita a lui”.

Adesso invece ridiamo un po’ meno e continuiamo a gozzovigliare.

Fare come i Dardenne sia politicamente, che cinematograficamente è, appunto, roba per i Dardenne e non per noi italiani. Sfortunatamente.

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