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Il Racconto dei Racconti

Fantasie di una società preda del desiderio e realtà di un cinema potente

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Tre è il numero perfetto. Tre sono i regni, tre sono i re, tre sono i castelli e tre sono i vertici su cui si basano le dinamiche relazionali di ogni storia narrata ne Il Racconto dei Racconti. Tre sono anche i film della Trilogia della Vita di Pier Paolo Pasolini a cui per ispirazione o per resonance, l’ultima fatica di Matteo Garrone sembra legata.

Alla base di entrambi c’è il riadattamento testuale di un’opera letteraria quale Il Decamerone di Boccaccio e Lo Cunto de Li Cunti di Gian Battista Basile e la loro realtà. Laddove la trilogia di Pasolini rappresentava la democratizzazione del diritto di esprimersi senza censure e l’ultima arma per combattere la falsità imperante della cultura dei media che ha ucciso l’autenticità della vita rurale dell’epoca, Il Racconto dei Racconti prosegue il discorso mettendoci davanti agli occhi l’effimero del desiderio, del capriccio, delle chimere, di tutto quello che inganna e tiene imprigionato il cuore. Anche se si tratta di amore.

La regina (Salma Hayek) che manda il marito alla morte per avere a tutti i costi un figlio a cui poi nega la vita segregandolo al suo fianco, il re lascivo (Vincet Cassel) che rincorre la giovinezza femminile e viene ingannato da una vecchia che a sua volta si inganna di riacquistare un corpo adolescente ed eterno, il re egoista e indiscutibile che provoca dolore pensando di fare del bene, sono l’affresco della concretizzazione dell’ambizione italiana nella società post-spettacolo.

In un certo senso, Garrone prosegue il discorso incominciato con Reality, scavando però, in quella fantasia allucinata che ha il protagonista nel finale. Come in Reality, è sempre un carrozzone ad inserirci in una certa exsistentia.

A contrapporsi ai fugaci valori ci pensano le architetture vere inserite consapevolmente in luoghi ricostruiti, segno di come questi non siano stati immuni dalla perdita di verità.  Castel del Monte, Il Castello di Roccascalegna, gli interni del Castello di Sammezzano di Reggello, Palazza Chigi e del Castello di Donnafugata si stagliano immortali nella loro bellezza suggerendoci che corpo avevamo, che carne abbiamo, e che pelle, ancora per poco, potremmo tornare ad avere in qualità di italiani.

Ma chi è disposto a mangiarsi un cuore mostruoso per questo?
 

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