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Mr. Holmes

L'indecidibilità, il labirinto della memoria, la struttura di una leggenda

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C’è molta differenza fra un’ape e una vespa, fra il detective di Scotland Yard che tutti conoscono e quello che vorrebbe essere reale. Quando si pensa o si parla di Sherlock Holmes i suoi iconemi inconfondibili balzano in testa prima di un volto, un fisico, una voce. Insomma cappello da pescatore e pipa bombata sono sufficienti a comporre il personaggio.

Un personaggio appunto, che come ci ricorda brillantemente Mr. Holmes, è stato più visto dall’immaginario del vero narratore dei gialli famigerati, nonché Watson, che dal “reale” protagonista che ammette di preferire il sigaro e non amare più di tanto il copricapo inconfondibile. E poi, essendo ormai tratti riconoscibilissimi, non ha più senso per un detective infallibile indossarli.

In questo punto di straniamento per gli spettatori e il loro mito, si colloca la vera sorpresa di questa pellicola con protagonista Ian Mckellen: lo spoglio, l’abbandono o se preferite la svestizione di un’icona dell’intelletto. Questo Holmes anziano e ritiratosi dall’azione, cerca in tutti i modi di tornare ad essere umano e autentico, rifuggendo la carnevalata che tanto piace alla gente e Guy Ritchie.

 Addirittura, va a vedere un film su sé stesso per capire quanto di veritiero ha scritto il suo socio nelle varie storie. Naturalmente ci sorride sopra. Un po’ meno sulla vecchiaia e la perdita di memoria. I fatti son ben diversi. L’ultimo caso, non torna in mente e rimane irrisolto. Almeno fino all’arrivo del finale. Ma è proprio qui che si insidia una delle maggiori novità e stranezze di questo personaggio e film. Comunque viene risolto il giallo, è una ricostruzione mnemonica del protagonista che fra l’hobby dell’apicoltura, qualche chiacchierata col figlio della governante e l’esplorazione degli angoli della casa dimenticati ricompone il puzzle.

Per certi aspetti Mr. Holmes di Bill Condon ha le stesse tematiche di Spider di David Cronenberg.  Entrambi iniziano con un treno che conduce ad una stazione, portatore di segni di ambiguità ed indecidibilità della storia che sta per “arrivare”. Nel film del regista canadese il numero palindromo del treno, 47774, lo annuncia apertamente mentre invece qui, tutto rimane più enigmatico perché illustrato da una situazione nella quale due passeggeri – madre e figlio – non riescono a distinguere se l’insetto appoggiato al vetro del vagone sia un’ape o una vespa. Holmes fa chiarezza, come per la ricostruzione del suo ultimo caso. Ma proprio in questa operazione di ricomposizione, soggettivo e oggettivo, presente e passato, allucinazione e ricordo non hanno più confini. Nemmeno la scrittura può aiutare a chiarificare, benché Holmes rimanga sempre convinto di ciò che ricorda e trascrive.

Ma è davvero così affidabile il ricordo? Davvero quella sul vetro del vagone è un’ape? Davvero fino ad oggi sappiamo chi è questo personaggio di Sir Arthur Conan Doyle? Sicuramente sappiamo che è una leggenda.

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