BIOGRAFIA
Franco Sangues è nato a Milano, il 13 maggio 1985. Si stabilisce a Miradolo Terme nel 1996 con la famiglia. L’adolescenza passa come tutte le adolescenze, tra tristezze infinite, amori non corrisposti, occhiali troppo spessi, incomprensioni e noia. La sua carriera scolastica si fa altalenante, a causa del lavoro. Molla gli studi e li riprende come se fossero vestiti che dopo qualche stagione tornano di moda. Si diploma col massimo dei voti nel 2008.
Lascia il suo lavoro storico per trovare un lavoretto in un bar a Pavia. Quando raggiunge il quarto di secolo va a vivere da solo, trovando un posto dove poter dare sfogo alla sua creatività. E, per darsi una spinta ulteriore, fa un volo pindarico da ingegneria a lettere moderne. Nel frattempo ultima il suo primo libro di poesie. Si autopubblica, grazie ad una casa editrice di Lecce, chiamata Youcanprint.
Dopodichè, l’ennesima storia fallimentare con una ragazza, lo spinge a concludere un racconto che aveva iniziato tempo prima. Ed è con questo romanzo che vorrebbe iniziare a farsi conoscere al mondo. Perché crede di voler dimostrare che la sua generazione non ha prodotto solo figli della disillusione di Vasco, o nuovi arrampicatori sociali, ma anche persone normali che conservano desideri semplici.
PRESENTAZIONE
Caro Lettore,
cos’è “Fino all’inizio”? È una fiaba, niente più. La struttura di un romanzo che adotterebbe un inguaribile romantico, come appunto è Franco Sangues. L'autore che vive il fascino del lieto fine, perfino più delle bambine che poi da grandi sogneranno il principe azzurro.
La fine di cui si parla è in realtà un inizio. La fine delle peripezie, porta l’inizio di una nuova storia: il libro vuole lasciare inalterato il senso di sospensione che si ha quando alla fine della fiaba viene detto “e vissero felici e contenti”.
Cosa succede dopo? Non si sa. L’importante è prima. Quello che accade per portare al punto zero i due amanti. Quello che i destini reciproci hanno deciso di far passare ai due futuri innamorati, per temprarli e prepararli ad un grande incontro. Un incontro che possa dar loro la felicità; felicità che può essere apprezzata solo in funzione dei problemi attraversati.
L’amore funziona così: lascia a digiuno un uomo per permettergli di assaporare meglio i cibi, quando riprenderà a mangiare. Toglie tutto per far capire ad una persona cosa è fondamentale per lei.
BUONA LETTURA...
LA FINE E' IL NOSTRO INIZIO
I Sabato, 1 agosto 2008
La lampada di Aladino
Anteros se ne stava sdraiato sul suo letto ad una piazza e mezza, nella dependance che suo padre Ernesto aveva fatto creare per lui, in fondo al giardino che racchiudeva la villa di famiglia in una cornice di verde. Era così facile per lui annoiarsi, ormai. Il caldo estivo lo faceva sentire più svogliato del solito. Avrebbe voluto provare qualcosa, qualche emozione per non sentirsi già arrivato. C’era stato un periodo in cui comprarsi un paio di occhiali da sole o un cellulare era un evento. Uno di quelli che avrebbe segnato i mesi successivi, una conquista da sfoggiare, che avrebbe determinato il suo stile e la sua sicurezza.
Quelle scarpe che andavano scelte, un solo paio su tutte, le avrebbe messe sempre: quelli sì che erano acquisti, quelli sì erano oggetti che diventavano vivi e personali. E ora che poteva comprarsene un paio al mese non c’era più quell’emozione iniziale. Ma soprattutto non c’era più la stessa soddisfazione, non c’era più nulla che fosse suo, suo veramente. Doveva riscoprire quelle sensazioni e riprendersi quello che era di sua proprietà. Quello che lui voleva come suo.
C’era un sacco di gente che aveva fame di arrivare. Lui invece aveva fame di tornare. Avrebbe soltanto desiderato provare i brividi dell'avventura, quelli che percorrono la schiena quando non si sa quasi nulla del proprio domani. Paola, la ragazza brasiliana che stava riordinando la veranda, lo spiava dalla porta finestra senza che lui se ne accorgesse. Era abbronzato e indossava solo un paio di slip. Lei avrebbe invece desiderato avere il coraggio di crearsi un’occasione per poterlo avvicinare.
D’improvviso uno schianto di vetri la fece sobbalzare. “Sarà ancora Lucky”, pensò subito. Da quando il sig. De Rosa l’aveva assunta, non passava settimana che il giovane labrador non combinasse qualche pasticcio. Paola si diresse verso il retro della casa, dove il cane aveva libero arbitrio. In un qualche modo che la ragazza non sapeva spiegarsi, era riuscito a far cadere il tavolino all’infuori del suo recinto, sul quale lei stessa aveva messo ad asciugare uno dei portalampade del vialetto, dopo averlo accuratamente lavato qualche ora prima.
Si sentì una stupida a non aver pensato che lì era in pericolo e subito pensò a come giustificarsi con il sig. Ernesto quando sarebbe tornato a casa nel fine settimana, dopo il suo ultimo viaggio di lavoro prima delle ferie. “Sig. De Rosa sono mortificata... Ma Lucky è un terremoto, non immaginavo… Non pensavo che…” Paola ripeteva ad alta voce frasi spezzate, per prepararsi il discorso che avrebbe voluto fare.
Grazie alla complicità tra un carattere vagamente timido e qualche incertezza nella lingua, Paola risultava sempre molto ossequiosa e zelante. Il sig. De Rosa, dal canto suo, era un uomo molto brillante e di certo non l’avrebbe nemmeno rimproverata. “Dopotutto” – avrebbe detto – “i portalampade erano un po’ vecchi e avrei voluto cambiarli a breve.”
Ernesto De Rosa, con i suoi baffi appartenenti ad un’altra epoca, conservava intatto il suo bell’aspetto, distinto e con i modi di fare di un galantuomo. Nonostante il fascino di cui era ancora dotato, aveva preferito restare single, dopo la morte della moglie. Non una scelta razionale, di certo. Semplicemente, lui amava ancora lei. Il figlio Anteros gli somigliava molto: era padrone del rapporto con le donne, sicuro ma non in modo fastidioso, non ostentava mai doti e ricchezze. A vederlo da fuori, sembrava che per lui il rapporto con una donna fosse una cosa normale: in questo si differenziava dai suoi coetanei, che apparivano sempre pieni di bramosia.
Di certo l’eredità genetica del padre e l’ambiente di agiatezza l’avevano aiutato molto, perché riusciva a conservare una sorta di umiltà molto elegante nel rapportarsi alle persone. E alle ragazze in particolare. Come se fosse sempre, perennemente in attesa di quel momento. Come se fosse una priorità. Una di quelle che vanno aspettate e godute nell’attesa. Eppure era lì, come congelato nell’indugio. Solo e in tensione, verso qualcuno che ancora non esisteva, se non nei suoi pensieri.
“Tutto bene, Paola?” La sua voce calma si intromise pacatamente nei soliloqui della giovane governante, facendola piacevolmente spaventare. Lei si girò di scatto, trovandosi a pochi centimetri dall’oggetto del suo desiderio di qualche minuto prima. Anteros si era preoccupato di infilarsi un paio di pantaloncini azzurri per non farsi vedere in mutande. Ma in realtà i pantaloncini non coprivano molto di più dei suoi indumenti intimi. Paola ebbe un attimo di esitazione e rispose con una certa timidezza: “Si! Cioè no… Lucky ha caduto… Ehm... Fatto cadere... Ehm... Le lampade di suo padre…”
Anteros sorrise per cercare di farla sentire più a suo agio e la interruppe: “Paola ma quante volte ti devo dire di darmi del tu? Abbiamo la stessa età!” Paola sentì le sue guance arrossire lievemente, anche se la sua scura carnagione lo nascose ad Anteros. Poi abbassò leggermente la guardia e sorrise, facendo svanire un po’ di quella tensione che l’aveva attanagliata fino a qualche istante prima. Subito dopo fece una risatina nervosa per schernirsi da sola. Anteros la aiutò a raccogliere i vetri per evitare che si ferisse e lei non riusciva a sottrarsi dall’osservarlo; senza nemmeno rendersene conto, lo desiderava e ammirava quel suo fisico piccolo ma espressivo.
“Scusi ancora, signor De Rosa, io non volevo…” “Paola! Ma ti ho detto che puoi darmi del tu! Anzi, devi darmi del tu!” “Ok, ok… Allora scusa, Anteros!”, disse mentre rideva. “Così va meglio, brava Paola!” “Ma da dove arriva il tuo nome? E’ un nome strano…” Anteros si fece per un istante un po’ cupo in viso, poi tagliò corto: “E’ mio papà. A lui piacciono i nomi strani…” Paola, non capendo che era meglio non approfondire il discorso, incalzò: “E’ un nome greco vero?” “Sì, lo è.” Rispose distrattamente il ragazzo. E, per evitare altre domande, proseguì: “In realtà decise questo nome mia madre. Era appassionata della Grecia e della sua mitologia. Anteros è la personificazione dell’amore corrisposto. E’ figlio di Afrodite, dea della bellezza, e di Ares, dio della guerra. Mia mamma dipingeva spesso scene di queste divinità…” Paola ascoltò attentamente ciò che Anteros stava spiegando. Si avvertiva che dietro quegli occhi scuri si nascondeva una forte mancanza che lui non voleva dare a vedere. Evitava, sfuggiva, eludeva. Infatti aveva perso ogni inflessione nella voce mentre spiegava l’origine del suo nome. Come se stesse ripetendo a memoria una filastrocca, come se volesse depurare quel discorso da qualsiasi emozione. Ma questo lo rendeva ancora più affascinante agli occhi di Paola che, incoscientemente, stava pensando di volerlo baciare.
Anteros non sospettava minimamente che Paola avesse questo desiderio segreto, come sempre del resto. Non si poneva molto il problema di piacere o meno a una donna: solo gli capitava di percepirlo in un istante particolare; ma questa sua sensazione scavalcava la sua parte razionale. Era un sesto senso, una questione di chimica. Una specie di mal di pancia. Quel mal di pancia che sa di attesa. È un breve senso di vuoto, spesso privo di un senso vero e proprio. Come quando ci si mette in posa per una foto: i pochi attimi prima del click, nei quali ti senti un po’ stupido a stare lì fermo con un’espressione forzatamente naturale. Ma, a differenza della foto, Anteros non si aspettava qualcosa di preciso. No, lui si aspettava l’inaspettato. E intanto stava lì, forzatamente naturale, in attesa di un click. E si sentiva ugualmente un po’ stupido.
Perché l’inaspettato poteva avere molte forme. Poteva portargli l’emozione che gli serviva attraverso il sorriso di una bella gelataia in un giorno di sole. Oppure in macchina di sera, con una pioggia battente per le strade di campagna, incrociando un pedone vagante, magari ubriaco o disperato. Il tramite, il mezzo attraverso cui agiva questo inconsistente “inaspettato” era imprevedibile. Avrebbe potuto veicolare il sentimento in qualsiasi modo, l’importante era che attraversasse la pelle di Anteros e riuscisse a penetrarlo. Dopotutto era uno dei suoi sogni nascosti. Era lui stesso che lo voleva. Desiderava ardentemente una persona estranea alla quale abbandonarsi immediatamente, con la quale spogliarsi di sé senza timore. Un’estranea come estraneo era lui, nel mondo.
Dopo che ebbe finito di parlare, il ragazzo fece strada a Paola. Entrarono in casa per bere un sorso di limonata nella grande cucina con bancone che era stata il sogno della madre di Anteros fin da piccola. Il sig. De Rosa l’aveva fatta costruire appositamente per lei appena si erano sposati, ventisette anni prima. Anteros spostò uno sgabello alto e si sedette a godersi la limonata. Paola restava in piedi lì, ferma con lo sguardo a tratti chino e a tratti diretto fin dentro agli occhi di lui. Ecco che Anteros ebbe quella strana sensazione, quella percezione di desiderio.
Cercò di distogliere inizialmente lo sguardo, ma in realtà non voleva: sentiva il desiderio della sua governante come se fosse tangibile. Paola era molto bella. E, nell’entrare in casa, un ciuffo dei suoi capelli neri e mossi si era divincolato dalla stretta morsa dell’elastico che le creava quella lunga coda alta, molto comoda per fare le pulizie. Con quel ricciolo che le carezzava il viso era irresistibile. Paola pensava tra sé che quel portalampada forse le aveva dato l'occasione che tanto cercava: forse si stava realizzando il suo desiderio. Era il portalampada della lampada di Aladino.
Anteros si alzò dallo sgabello e decise che nella limonata si poteva aggiungere un goccio di vodka. Lo aggiunse anche nel bicchiere di Paola che non disse di no. Bevvero in silenzio, ristorandosi dal caldo afoso. Ma in realtà il caldo si stava facendo spazio dentro di loro, nelle loro vene, aiutato da quel sorso di vodka che allargava i polmoni. Anteros si avvicinò a lei. Le sussurrò: “Non hai caldo con questo grembiule?”. Così dicendo le sbottonò il primo bottone, senza alcuna malizia. Lei sospirò in silenzio. Il suo respiro caldo sfiorò il collo di Anteros che si voltò leggermente.
Lei lo baciò con una passione bollente. Le loro mani impazienti cominciarono ad accarezzarsi a vicenda. Il cocktail “Anteros e vodka” bastò a disinibire Paola. Spinse piano piano Anteros a risedersi sullo sgabello alto. Il suo grembiule era ormai abbottonato per un bottone solo. Lei si chinò leggermente, Anteros gemette. Dopo qualche istante fecero l’amore in modo potente, lei appoggiata al bancone della cucina e lui sopra di lei.
Si dissetarono dei loro reciproci desideri, finché i due corpi sudati e abbronzati si arresero al piacere. Fu un’esplosione tropicale di passione. Seguita da un silenzio animalesco...
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"FINO ALL'INIZIO" di FRANCO SANGUES - Editrice Youcanprint
Caro Lettore,
arrivederci al prossimo appuntamento letterario