BIOGRAFIA
Antonio Milicia, nato a Locri (RC) il 22/07/1961, è Architetto dal 1988 e Consulente forense iscritto dal 1988 all’albo dei Consulenti Tecnici del Tribunale di Locri. Esperto in perizie grafiche, trascrittive e di sopralluoghi su scene del crimine. Si è occupato dei più importanti processi di mafia della DDA di Reggio Calabria, di Genova e di Torino. È profondo conoscitore del territorio della Locride in Calabria e degli ambienti della criminalità organizzata per via dell’attività forense e delle migliaia di intercettazioni ascoltate e trascritte.
Appassionato di poesia, musica e pittura, scrive per lavoro nella sua attività forense, e per passione prediligendo tematiche horror e thriller nei suoi romanzi e nei suoi racconti. Nei suoi scritti è anche attento alla realtà dei luoghi in cui vive e ne descrive le complesse dinamiche, mentre nei suoi componimenti poetici apre invece squarci a volte dolorosi nel suo vissuto e nel suo immaginario onirico ed emotivo.
A giugno 2014 ha pubblicato il suo primo romanzo Contrada delle Case Vecchie , una storia tesa a metà tra il romanzo poliziesco e l’horror, ambientata nella Locride, con personaggi ‘veri’, apprezzatissima dai lettori. I suoi racconti e le sue poesie hanno incontrato notevole interesse e segnalazioni in diversi premi letterari, tra i quali il Federiciano, ed una sua silloge è stata pubblicata a maggio 2014 nella Collana di Poeti Contemporanei “Impronte” della Casa Editrice Pagine di Roma.
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PRESENTAZIONE
LOCRI - Ci sono selve oscure dovunque, nei corridoi del Palazzo di Giustizia; nei boschi dell'Aspromonte e delle Serre; nei versi di un brano di heavy metal o in tre terzine incatenate negli endecasillabi; nelle zone di campagna di una frazione e nelle antiche residenze nobiliari del centro; nella mente contorta e nella lucida follia criminale di un professionista-serial killer (il "Fabbro") che è il principale protagonista del racconto.
E' un viaggio tra le selve oscure che diventa un romanzo giallo-horror-noir scritto dalla penna brillante di Antonio Milicia, scrittore, poeta, disegnatore e grande divoratore di libri, film e musica, ancor prima che architetto e consulente tecnico dei principali processi che si celebrano al tribunale di Locri. Milicia trasla le sue letture predilette e la sua fornitissima videoteca horror in un'opera ben scritta e in cui niente è lasciato al caso, nemmeno la citazione di alcuni versi dai brani rock dagli anni '7O, '8O, '9O.
"Contrada delle case vecchie" è il nome che l'autore usa per definire Locri, la sua città di residenza, che viene fuori in tutte le sue mille sfaccettature: la storia gloriosa e il presente così così, i palazzi dal centro e le frazioni abbandonate, la nobiltà del tempo che fu e la piccola borghesia ipocrita che segue in maniera acritica la direzione del vento, e soprattutto l'alta borghesia massonica che si fa bellamente i fatti suoi, dietro un apparente perbenismo. La 'ndrangheta non c'è in questo romanzo. O meglio, appare di sfuggita, quasi come una semplice comparsa. C'è, invece, la storia di un serial killer dall’intelligenza raffinata ed inquietante, che riesce a depistare tutti e ad uccidere nella maniera più sadica a apparentemente indolore, seguendo sempre una logica criminale ben precisa, influenzata perfino da enigmistica e numerologia.
C'è di tutto nel romanzo: i vizi privati di un medico che ama le auto di lusso, e i conflitti interni alla Procura della Repubblica, la triste fine delle vittime e la vendetta consumata come un piatto servito freddo. E lui, "il Fabbro", mantiene la regia occulta di tutto, anticipando sempre tutto e tutti, quando è ora di sparire e scegliere con cura, dove, quando e da chi farsi trovare.
Non è solo il romanzo. È una guida preziosa per conoscere una città, i suoi mondi, i suoi palazzi, in maniera disincantata e spietata, ed anche un modo per mettere alla berlina la società in preda al delirio mediatico da buco della serratura, quella del plastico della villetta di Cogne in diretta TV, dei titoloni di giornale sui particolari più pruriginosi di una vicenda, e anche quel “lato oscuro della luna” che i riflettori della criminologia nazionale e dei programmi che occupano i palinsesti pomeridiani delle reti nazionali, solitamente ignorano.
“Il Fabbro” non è innocente come Girolimoni, non colpisce solo le prostitute come Donato Bilancia, non ce l’ha con le coppiette come Pietro Pacciani, non uccide i giovanissimi come Luigi Chiatti. È di più, molto di più. Mente raffinata e coltissima, si permette il lusso di prendersi gioco degli inquirenti e di fare dotte citazioni in latino.
Ma nella vita reale c’è qualcuno che potrebbe avere ispirato l’autore nello scegliere la figura del “Fabbro”? Questo non lo sapremo mai.
Di sicuro, dopo aver letto il libro, quando ci aggireremo nell’androne di un palazzo pubblico, o in una sperduta mulattiera in campagna o in montagna, faremo molta più attenzione incrociando un passante dagli occhi coperti da un paio di lenti verdi da aviatore. Potremmo rimanere fulminati e non in senso metaforico.
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Buona lettura...
CONTRADA DELLE CASE VECCHIE
0.0 SALVATE LA TIGRE (il Fabbro)
Dieci a mezzanotte. La tigre ha smesso di sanguinare. Le sue strisce di colore rosato, che all’inizio si erano subito riempite di un nero torbido, a poco a poco sono diventate di un pulsante color bianco sporco. Ma adesso a ben guardare, la luce cruda della lampada alogena fa brillare altre minuscole goccioline di sangue, che rigano la superficie della sua pelle, per la verità di quella poca che ho lasciato ancora addosso a quel corpo. Avevo dovuto inventarmi uno strumento nuovo per rimuovere le lunghe strisce di epidermide che ho poi gelosamente conservato, modificando un tipo di raschietto con il quale normalmente si affettano delle sottili fettine di tartufo o di formaggio grana, comprato il settembre dello scorso anno alla fiera di Portosalvo a Siderno. Dettagli importanti, quelli che molto spesso fanno la differenza e determinano il successo di un’opera.
Tuttavia è stato un lavoraccio lungo una notte e faticosissimo, con risultati da giudicare comunque così così. Era necessario che la mia creatura fosse completamente sottomessa, impossibile farlo mentre era cosciente. Seppur immobilizzata e con la bocca ormai sigillata per sempre, se fosse stata sveglia si sarebbe agitata troppo per le mareggiate di dolore che con scosse incontrollate e fremiti avrebbero fatto deviare la mia mano, distraendomi mentre con quello strumento aravo con energia sulla sua pelle, quando invece un’opera d’arte richiede concentrazione assoluta e polso fermo. Le avevo così concesso il momentaneo dono dell’oblio. Come a quelli prima di lei. Un piccolo regalo se vogliamo, a conti fatti l’ultimo. Avrei tanto voluto raggiungere un risultato perfetto per questa mia ultima creatura, ma gli accidenti della pelle sono troppi, bisogna sapersi accontentare. Era andata molto meglio col leopardo l’anno scorso. Molto meglio. Era bastato adattare una punta speciale con un dischetto di carta vetrata ad un normale avvitatore e poi libero spazio alla fantasia creativa, senza dolorosi crampi alle dita per me. Ci vuole ingegno. Causare sofferenza programmata richiede margini di inventiva che rasentano l’arte, e inventare qualcosa di nuovo che non sia stato scritto o visto o che non sia già stato fatto richiede sempre più impegno. E anche per questo io non invento, mi ispiro. Mi dedico. Il mio impegno è spinto a far durare il processo di trasformazione il più a lungo possibile una volta avviato: un corpo umano è fatto di ossa, sangue, muscoli, nervi… tessuti soggetti a logoramento, e ogni essere umano ha una propria soglia di cedimento… fisico e mentale.
Il cedimento mentale arriva ai più fortunati prima di quello fisico, anche se non direi proprio fortunati: soffrono di meno ma durano di più, e non è un bene per loro. Più un essere umano soffre prima di morire, più si gonfia la parabola dell’immaginazione morbosa di chi su questa sofferenza costruirà il suo criminal show, e con essa lo nutrirà costantemente. Questa è l’equazione, il paradigma assoluto. È su questo principio che ad esempio si macella il maiale, che non può e non deve morire subito quando viene sgozzato, perché la sua carne deve essere irrorata a lungo dagli spasmi dell’agonia per risultare poi più gustosa sui vostri piatti. Un sacrificio comporta delle scelte, quasi sempre dolorose, e bisogna sapersi adeguare. Quand’ero bambino il cinema del mio quartiere era la calamita della mia mente, e le immagini rappresentate nelle locandine attaccate con il lucido scotch trasparente alle pareti dello stanzone che dava sulla strada scatenavano immancabilmente le mie fantasie. Ogni volta che passavo davanti all’ingresso lo sguardo correva non senza morbosità su quelle pareti tappezzate dalle locandine dei film ancora da proiettare, quelli con attaccato sopra il rettangolino di carta bianco con stampata in nero la scritta IMMINENTE, ancora umido e gocciolante di colla. Ricordo che chissà perché la locandina di Salvate la tigre restava sempre là, per anni sulla parete in alto a destra, senza che questo film arrivasse mai davvero in proiezione. Quella estenuante ed irrisolta attesa forse ha mosso la mia ispirazione, e creato l’immagine del tormento di una tigre in eterna attesa di essere salvata, che così è diventato il quarto e per il momento ultimo modello di sofferenza estrema assimilato dalla mia fantasia, che corre libera senza freni in senso vietato.
Nessuno salverà questa tigre ormai, nessun collegamento agli altri muti protagonisti che hanno popolato il mio zoo, ormai da tempo diventati carcasse rompicapo per uno zelante anatomo-patologo. Nessun legame occulto, nessuna traccia da scoprire, anche se il collegamento lo vedo soltanto io dal mio distorto angolo visuale privilegiato, ma che resta sepolto dentro il mio delirio silenzioso. L’infestazione è forse la parte più sgradevole da accettare nel trattamento obbligatorio a cui li sottopongo, ne sono cosciente. Decisamente insopportabile. Per chi la subisce, ma anche per chi la immagina soltanto. L’imperativo d'altronde è farli durare a lungo, quindi più piccola è la bocca che morde o che succhia, più a lungo dura il gioco. A volte è così semplice… se ti morde uno squalo muori o resti mutilato, come anche se ti morde un leone o un orso. Se ti morde un topo può fare anche molto male, ma il danno resta limitato… E via via, più piccola diventa la bocca, minore è il danno. Ma se le bocche sono tante e piccolissime… ecco che l’infinitesimale danno si moltiplica, e la sofferenza distribuita in migliaia di punti di aggressione nella carne indifesa diventa insopportabile nella sua rallentata ineluttabilità. Quando non puoi reagire all’infestazione la devi subire, ti fai lentamente ma inesorabilmente colonizzare, col conforto della convinzione che nessuno mai verrà a salvarti. Ci vogliono occhi veramente allenati per esaltare la timida e lenta ma inarrestabile vittoria dei miei piccoli alleati sulla carne e sui tessuti. Del resto, io mi limito a lasciare che la natura faccia il suo corso spingendo i tempi un po’ più in qua, perché non sempre il pesce grosso mangia quello piccolo.
Comunque non ritengo elegante descrivere il trattamento ispirato che dopo lunga meditazione ho programmato per le mie creature e che sto a guardare per ore durante il giorno ed in certe mie notti particolari, quella attenzione che dedico a studiare gli anche minimi cambiamenti che a poco a poco scolpiscono la carne delle… come altro chiamarle? Diciamo che sono degli ospiti che abitano di tanto in tanto nel mio delirante zoo. Nessuna regola apparente da seguire nello scegliere i miei ospiti, nessun filo logico da offrire, nessuna ghiotta pista da regalare ai dotti criminalisti che poi in comode poltrone colorate o nei divanetti promiscui dei criminal show accarezzeranno con mani malate il gioco ad incastri impossibili che gli ho confezionato. È già tanto regalare loro gli involucri con quello che rimane dei miei laboriosi esercizi mentali, sui quali costruire poi affascinanti e suggestive teorie sulla devianza degenerante dei miei disturbi psichici. Che facciano pure, è proprio quello che desidero. Parliamo tanto di me, diceva qualcuno, del resto. I boschi in primavera sono i miei grandi alleati, basta spostarsi anche di poco dai sentieri tracciati e la foresta è tutta mia. Si può allestire una scena con tranquillità e fare tutto con calma ed applicazione, sapendo che ci saranno molti “collaboratori” pronti ad intervenire quando passerò loro le consegne, e soprattutto quando interverranno sul campo le mie gladiatrici. Solo il casuale passaggio di un cercatore di funghi o di un legnaro potrà interrompere il processo che ho meticolosamente così fantasiosamente anticipato, ma normalmente avviene ormai abbondantemente a cose fatte.
Stavolta però la scena che ho scelto per questo ultimo atto è diversa, decisamente più urbana… e adesso la posso seguire in tempo reale seduto nel mio trono rubato ad un nobile troppo in fretta decaduto, nel buio polveroso dei sotterranei di una Casa Vecchia, proprio nel centro del cuore nero di Contrada delle Case Vecchie, con la compagnia confortevole dei rumori del traffico poco distante, con il suono rassicurante delle campane della cattedrale che scandiscono le ore, le mezze ed i quarti, con le esplosioni ovattate nel cielo dei fuochi d’artificio della festa patronale. Non fosse agosto sentirei anche le urla e gli applausi dei tifosi allo stadio, il suono stridente della campanella della vicina scuola media, le sirene spiegate dei mezzi della Polizia Penitenziaria e delle auto dei solerti P.M. della DDA di Città dello Stretto che vanno e vengono in continuazione dall’alveare umano. Suoni urbani quotidiani che si mescolano con quello dei violini instancabili delle mie gladiatrici. Cinque a mezzanotte. Adesso mi fermo… Rewind… riavvolgo il nastro e lo riporto indietro di due mesi esatti, torniamo al 10 giugno di un qualsiasi anno di grazia possibile… uno dei più recenti. Il quando non importa molto, il dove lo capirete, il perché non so se ci riuscirete, ma non interessa poi molto, quello che interessa realmente è far svolgere con i tempi giusti il nastro di una storia che vi prenda. In questo caso tocca a me prendervi, mentre a chi mi dà la caccia tocca prendere me. A proposito, ecco chi mi dà la caccia…
PARTE PRIMA
10 Giugno - 20 Giugno
ULTIMO GIORNO DI SCUOLA (Mar. Pasquale)
Get your motor runnin' Head out on the highway Lookin' for adventure And whatever comes our way Yeah Darlin' go make it happen Take the world in a love embrace Fire all of your guns at once And explode into space
A tutto gas sulla Route 106. Finestrini sdossati e rock a manetta. Il vento crea un tornado nell’abitacolo, ma è difficile gareggiare sui decibel con i chitarroni degli Steppenwolf. Bella però anche la cover dei Cult, dai! Potentissima. Ma, per come cantano gli Steppen’ in Born to be wild, io non ho bisogno di cercare nuove avventure, mi basta quella che mi sta ossessionando il cervello, altroché se mi basta. A conti fatti la Route 106, la strada Jonica, lunga oltre 490 chilometri da Città dello Stretto a Taranto, quasi tutti sviluppati a braccetto con il Mare Jonio, nel tratto di quasi 65 chilometri tra capo Bruzzano e Punta Stilo, è forse una delle strade più intercettate d’Italia, attraversata ogni giorno da decine di auto con la cimiciotta dentro.
Da Africo Nuovo a Monasterace. Scendendo da San Luca e passando da Bovalino, attraversando Contrada delle Case Vecchie e poi Siderno, o scendendo da Gioiosa Jonica fino a Marina di Gioiosa andando verso Roccella, Caulonia e poi Monasterace, devi per forza passare sulla Route 106: è il tratto della zona Jonica cosiddetta Costa dei Gelsomini, che in base alle cronache detiene il primato della presenza mafiosa sul territorio reggino, ed è anche per questo che la Route 106, che collega i centri costieri e si srotola per tre regioni fino a Taranto, la considero appunto la strada più intercettata d’Italia. Noi li chiamiamo Comuni, paesi, cittadine, città, centri, paisazzi… loro, gli uomini d’Onore, semplicemente li chiamano ‘presìdi’ . Da noi ci sono più cimici che nel pelame di un cane di strada, e la Route 106 è un vero cimiciaio che racconta ogni giorno le sue storie banali e segrete, perché ai calabresi piace parlare, anche da soli: confidarsi, sparlare, vantarsi, spararsi la caglia , annacarsi … e questo fa la felicità delle Procure, e ovviamente anche la mia, che mi risparmio un sacco di lavoro di gambe, che tra l’altro mi farebbe bene. È con questi pensieri che la percorro io stesso, e quante volte incrocio veicoli attenzionati dove so che in quel momento i vetri hanno orecchie. Da noi anche le case hanno orecchie… i negozi, gli uffici, gli studi professionali, i locali pubblici. Può capitare che entri a chiedere un caffè in un bar o lasci un abito in una lavanderia e come niente resti immortalato in un’Ordinanza di Custodia Cautelare. Una volta abbiamo messo la cimice in un agrumeto, ed un’altra persino in una stalla, in mezzo alle vacche ed ai maiali, quei simpaticissimi prosciutti vivi.
Ci mancano ancora le chiese da incimiciare per la verità, ma con l’aria che tira e i litigi che vedo all’orizzonte mi sa che ci siamo vicinissimi. Ecco, non ho tanta voglia di presentarmi adesso, imparerete a conoscermi, mi annoiano le descrizioni fisiche, soprattutto la mia. Basti sapere che sono il Maresciallo Pasquale, ma che tutto sembro tranne che un Carabiniere: cerco di svecchiare un po’ l’immagine insomma, preferisco la velocità di pensiero a quella fisica, quella che ti consuma running on empty nelle autostrade della mente. E poi su di me serve soltanto aggiungere che vivo e lavoro in “Calabria Saudita”, in un posto chiamato originariamente Contrada delle Case Vecchie, ma che ormai ha da più di sessant’anni cambiato il suo nome, depurandolo nel solo e semplice Contrada. È un luogo depresso come tanti altri, ma conosciuto come pochi per merito delle cronache e della cattiva pubblicità giornalistica ed editoriale di chi ha sempre più interesse a farci apparire al mondo indistintamente tutti brutti, sporchi e cattivi, come invece proprio non siamo. Guardando il telegiornale mi pare però di capire che in fondo non si sta poi così male qui da noi, visto quello che succede altrove: va bene, i problemi ci sono, alcuni diversi, alcuni uguali a quelli di tanti altri posti. La qualità della vita forse lascia un po’ a desiderare, ma certo non quella dei salumi, e poi chi ha il diritto di lamentarsi, in fin dei conti? Basta dare uno sguardo verso le tante Contrade nel sud e nell’est del nostro pianeta per capire addirittura che quaggiù siamo fortunati, nonostante tutto.
Ce lo insegnano tutti questi migranti che arrivano da noi in Italia e sbarcano proprio nelle nostre coste, anche qua nel mare di Contrada, sperando di trovare la salvezza e un benessere illusorio visto nei nostri spot pubblicitari, per morire invece annegando in un metro d’acqua: non sempre l’uomo è fabbro della propria fortuna… ed eccolo là… come sempre il pensiero torna a lui, paff… al Fabbro. Ma più che un fabbro, un’ombra, un fantasma, un ectoplasma. In due anni sono stati riempiti quindici faldoni su di lui in Procura, che ormai chiamiamo i magnifici 15, ma senza che in quelle carte vi sia una sola riga che lo descriva veramente, e nessuno si azzarda ad aprire i fascicoli fotografici se proprio non deve. Il pubblico ministero, la prima volta che le ha viste, ha vomitato la colazione, eppure l’avevamo avvertita che robaccia ci fosse in quelle cazze di foto. Ma lei giustamente doveva fare la splendida per impressionarci… e in effetti ci ha impressionato, ma lo stomaco più che altro. Tanto ha fatto e non ha fatto per nascondere la sua evidente incapacità a gestire il caso che dopo la seconda richiesta di trasferimento respinta si è fatta mettere incinta, e finalmente l’hanno accontentata. Ha preso le classiche due fave con un piccione insomma, spero per lei che sia stato sostanzioso, almeno. A giorni dovrebbe arrivare il nuovo Pubblico Ministero con le iniziali maiuscole, ma stavolta addirittura un Procuratore Aggiunto, dicono, che si dedicherà solo a questo caso e con la massima segretezza… e qua immagino già i rompimenti estremi di coglioni. Come vivere in casa da figlio unico con una madre vedova. Se li ciuccierà lui intanto i magnifici 15, che al momento sono accomodati in pianta stabile sul divanetto nell’ufficio in standby del P.M., con tutti i particolari sulle tre vittime, una delle quali gentilmente offerta dalla procura di Vibo… Brusca sterzata ai miei pensieri dalla chitarra di Angus Young in Thunderstruck. Ommadonna!… Ancora il cellulare? Odio parlare al cellulare. «E Prontii!!»
«Marescià buongiorno.» «Buongiorno un cazzo! Che altro c’è? Tre minuti fa mi hai telefonato.» «E non importa, c’ho la promozione wind, Marescià… qua c’è Muscoli che v’aspetta… vi siete dimenticato, mi sa.» «Oh merda! Anche lui adesso, mi sta dietro come un cagnolino. Ma l’osso da dargli dove lo trovo adesso?» «E inventatevi qualcosa, dai… magari tirate fuori di nuovo la storia degli occhialini da sub, e ricordatevi che domani vi aspetta la bellona di “Dove (cazzo) sei?” a Roma.» «Ma che cazzo… quelli da Decathlon li vendono a migliaia, abbiamo visto quanti scontrini… figuriamoci! E poi quegli altri di “Dove sei?” almeno sono gentili ed in gamba, ed ho anche la scusa per tornare a Roma, qualcosa da dirgli mi invento.» «E lo so, magari a Muscoli dite la palla che stiamo controllando anche le telecamere di Decathlon per verificare se nei mesi scorsi è risultato qualche soggetto sospetto o noto all’ufficio.» «Noto a mammeta… Vaboh, mi invento qualcosa. Intanto a Muscoli digli che ci vediamo giù al bar 2000bis, così almeno unisco l’inutile al dilettevole e gli fotto il caffè.» «Tra dieci minuti Marescià, ve lo spedisco in pacco argentato e ben oliato… ah, lo sapete che ora alla DDA ndi cugghiunianu? Venanzi da Città dello Stretto mi sfutti, dice che noi diventammo come l’FBI d’u silenzio ill’innocenti ormai, mentre loro sempre coi soliti sciancarrame se la vedono.» «E non c’è più la mafia di una volta, mò… qua si fanno processi da 50 udienze a cinquemila euro l’una e indagini da due milioni per quattro piante di canapa… o per smantellare un Comune uguale a mille altri in Italia… e dai! Brigadiè! Minchia che rompicoglioni che sei però, scassami ‘u cazzo!… Ciao.»
Se ogni personaggio che si rispetti ha la sua spalla, la mia è certamente il Brigadiere Fantori, esperto in sbobinamento intercettazioni e analisi di tracce audio, uno che sente anche l’inudibile. È al Nucleo Operativo dei Carabinieri di Contrada ormai da oltre dieci anni, ovviamente juventino, pugliese e rompicoglioni, e che ve lo dico a fare? A furia di trascrivere il nostro dialetto si è dimenticato persino l’accento barese ormai, e mi parla il calabrese. Tutti e due in due anni ci siamo ormai fatti una cultura sui boschi dell’Aspromonte e delle Serre, ma ogni volta che all’alba arriva la chiamata dell’immancabile legnaro o del fungaiolo anonimo sappiamo che sarà una giornata pessima da sopportare. Farsi decine di chilometri per arrivare nel cuore dei boschi, e poi di nuovo tutti quei dettagli: la cuffia azzurra sul cranio senza capelli, le ossa delle costole che biancheggiano spuntando dai brandelli di carne annerita, gli occhialini da sub fissati con il cianoacrilato… Il consulente criminologo di Città dello Stretto ha spiegato che il Fabbro li applica per proteggere gli occhi, che altrimenti verrebbero subito invasi dagli insetti, o morsi e tirati via dai piccoli roditori. Anche la bocca gli protegge, con una mascherina di gomma del tipo che si usa per l’ossigeno. Pare che ai topi piaccia cuccarsi subito la lingua… brrrr. Ma credo sia più per intubargli tra i denti la cannula di plastica collegata al serbatoio da cinque litri con la soluzione di acqua e zucchero da inalare lentamente, per alimentare la loro sofferenza. Per il resto nessuna attenzione per quei poveretti. Li posiziona tra tre tronchi vicini ingabbiandoli in una fitta rete di filo spinato quasi formando un intreccio cabalistico con i tiranti, bloccandogli in una morsa anche il collo per evitare che si muovano troppo. Ma prima gli provoca con infinita pazienza complicate ferite superficiali creando quei disegni senza senso… o forse ce l’hanno? Su quelle ferite si riversano migliaia di insetti, una buona parte dei quali restano invischiati nel sangue che si rapprende… ed al peggio non c’è davvero mai fine.
Ho percorso col solito pensiero fisso sintonizzato sul Fabbro, e sulle sue bastardate assurde che da due anni ci perseguitano, i tre-quattro chilometri che separano Siderno da Contrada. Queste due cittadine sono molto vicine alla conurbazione, molto più di quanto si pensi e si voglia, anche se si snobbano a vicenda, ormai quasi fisicamente unite dall’espansione edilizia reciproca, separate di fatto soltanto dalla fiumara Novito, una delle caratteristiche fiumare a letto largo che solcano le coste calabresi. Le nostre fiumare sono bizzose ed incostanti: nel periodo estivo sono quasi completamente asciutte, col letto invaso dai canneti e preferite come luogo di scarico abusivo di materiali eterogenei, sempre difficile da controllare, ma d’inverno diventano a volte anche torrenti impetuosi che spazzano verso il mare ogni cosa incontrata, persino anche carcasse di vecchie automobili, spostando il problema appena soltanto un po’ più in là. La fisicità della Calabria è caratterizzante anche nei luoghi più urbanizzati, e in qualche modo spesso prevale sul fattore antropico, a volte distorcendolo totalmente, particolarmente quando si mescola con la storia e con il passato millenario di colonia Magno-Greca della nostra zona. Sono un Carabiniere ma sono appassionatissimo di storia, soprattutto quella che mi appartiene. Qua da noi per amore della storia capita di vedere strade che fanno improbabilissimi gomiti per aggirare i resti di un vecchio tempio Magno-greco, o di vedere lavori per la costruzione di una nuova Route fermi per decenni in attesa di una variante perché la strada in costruzione è cozzata malamente proprio sul muso di una sinagoga ebraica del quattrocento dopo Cristo.
Insomma, capita anche di vedere milioni di euro fermi per la costruzione di un complesso turistico perché magari si scopre che stai rompendo il cazzo ad un preziosissimo tipo di uccello in via d’estinzione che dimora proprio su quella collina. E comunque, sul valore e l’importanza di templi, sinagoghe e soprattutto di uccelli certo non sarò io qua a discutere. Ce n’è… ce n’è di contraddizioni nella mia zona, e in ogni caso da noi, quando il vecchio e il nuovo si scontrano, vince molto spesso il vecchio, perché siamo tanto tanto vintage. La mia solita vena polemica e un po’ sboccata del tipo a cui non va mai bene niente emerge spesso: sorge come un acquatico animale preistorico dalle fangosità dei laghi di montagna che tanto piacciono al Fabbro nelle sue torbide ed esclusive locations. Adesso però mi rimbalza nella testa un pensiero… forse innescato da Fantori per quello che mi ha detto prima al telefono, però non riesco a focalizzarlo mentre mi destreggio imprecando con la Passat SW nel traffico incerto da ora di punta di un ultimo giorno di scuola. Oggi è 10 giugno a Contrada. 25 gradi, il caldo sarebbe quello dei primi bagni a mare, beato chi se li può fare, col mare a due passi che abbiamo, ma sempre bollicine di sporcizia galleggiante permettendo. Eh sì! Perché abbiamo anche quella qualche volta… Non bisogna credere troppo a quegli scrittori che dicono che il nostro è il mare più azzurro e cristallino, perché lo guardano molto spesso da lontano. Quantomeno, non sempre lo è, ed a volte lo spettro dei colori che offre in superficie l’acqua vicino alla battigia lambisce tonalità decisamente proibitive. Ma domenica ci vado, magari presto, prima che arrivino le bollicine. Me ne fotto se l’acqua è ancora fredda.
Domani a Roma intanto, mi faccio un'ammazzata di caldo sicuramente, però stavolta con l’occasione vado a visitare quella chiesa del Borromini che ancora non ho trovato, perché anche se sono un Maresciallo del Nucleo investigativo dei Carabinieri ho una certa cultura artistica, ecchecazzo! Due anni di Architettura a Città dello Stretto prima di arruolarmi nella benemerita. Storia Uno con l’indimenticabile professore Giuffré: le sue lezioni sull’Architettura del Rinascimento e del Barocco erano le più seguite. Partivo col treno alle sei del mattino per prendere i posti in prima fila ed assistere alla rivalità a colpi d’opere d’arte tra il Bernini e Borromini, in continua competizione nella Roma del ‘600 per dimostrare chi fosse il migliore. A me piacciono tanto le sfide che fanno da sfondo alla nascita dei capolavori. Ma ecco che sono arrivato al bar 2000bis, quasi la bouvette del vicino Tribunale di Contrada per l’alta concentrazione di magistrati con relative scorte, Carabinieri, Guardiapenitenziari, Poliziotti, impiegati di Giustizia, Consulenti e, dulcis in fundo, avvocati che registra quotidianamente. Situato sulla centralissima via Matteotti, il bar si guarda in faccia sull’altro lato della strada con il portone di ingresso delle Scuole Elementari De Amicis, quest’edificio che è rimasto ben saldo in tutti noi che abbiamo una certa età a Contrada, insieme col libro Cuore, scritto da chi gli dà il nome, quando una volta ancora si leggeva a scuola. Si tratta di un edificio squadrato col prospetto a simmetria bloccata tipico del ventennio, che qualche anno fa però qualcuno ha avuto l’idea di riverniciare di colore rosa confetto: focu soi! Ma non bisogna meravigliarsi, anche questa è Contrada. Posteggio sulla destra davanti alla scuola sotto i frondosi lecci ed i benjamina nei pochi vuoti ‘zziccati’ tra le linee gialle dei parcheggi per disabili e le strisce pedonali davanti alle scuole, strisce che ormai neanche più si vedono ormai.
Tiratina d’orecchi al Sindaco, che le fa riverniciare solo ad inizio anno scolastico, ma neanche tanto, dai… ultimamente l’ho visto darsi da fare e muoversi abbastanza bene, quantomeno rispetto agli standard deludenti dei suoi predecessori. Fossi ancora a Torino dovrei stare in guardia per evitare il lancio di un gavettone o di qualche uovo, o magari di restare infarinato per sbaglio, ma fortunatamente quaggiù certe transizioni di fine anno scolastico vengono vissute ancora senza questi fastidiosi corollari. Adesso c’è invece da palleggiare un po’ Muscoli, quello della Gazzetta, il meno peggio dei tre devo dire, sempre a caccia di esclusive col suo minuscolo block notes, che è già seduto al tavolino fuori del bar ad aspettarmi. Appena mi vede ordina lesto i caffè e i cornettini, lo sa che anche se è mezzogiorno passato per me è sempre ora del caffè qui giù in Calabria, a Contrada delle Case Vecchie. «E finalmente ci siamo tolti di mezzo il rompimento di coglioni degli studenti, almeno per quest’estate.» «Già, e comincia quello dei turisti… zucchero, Maresciallo?» «Una bustina, grazie a voi.» «Prego, Maresciallo, almeno ci resta qualcosa di dolce.» «Non me lo dite, che sto rimpiangendo il lavoro per la DDA ormai. Là almeno con quattro cimici risolviamo tutto… o quasi… neanche indagini serve più fare, tanto si accusano da soli parlando… che poi arrivano i consulenti a rompere i coglioni però. Ma da quando seguo questo caso… è sceso il buio fitto, come in quei cazzi di boschi.» «Eh sì… a proposito di boschi siamo diventati come la Virginia, ormai. A memoria mia non ricordo sia mai capitato niente del genere dalle nostre parti. Morti ammazzati per la guerra dei boschi, per la storia dei viperari lassù nelle Serre quelli sì, a voglia… ma così…»
«Homo quisque faber ipse fortunae suae… spero di averlo detto bene, ma anche il latino ci ha fatto ripassare.» «Già, il Fabbro… con la sua passione per il latino. Il consulente criminologo che dice al riguardo?» «Mah! Studi classici, forse. Ostentazione di sapere. Erudito… ma non è escluso che ci prenda deliberatamente per il culo. Fa troppe cose in contraddizione tra di loro, ci riempie di citazioni che non portano a nulla… come se giocasse con noi. Certo la cosa che mi colpisce è questa sua attenzione per proteggere gli occhi. L’esperto dice che non vuole che vengano invasi o attaccati dagli animali… perché così possano vedere tutto quello schifo che gli sta strisciando addosso, dice lui, ma il motivo a me sembra sia un altro e ancora più perverso.» «E sarebbe?» «Vuole che i loro occhi anneghino nelle lacrime.» Le mie ultime parole si perdono nella confusione e negli schiamazzi dei bambini della scuola elementare di fronte al bar che sciamano fuori dal portone della De Amicis come un torrente senza argini di facce esultanti, felici a loro modo e finalmente liberi di godersi un'altra estate spensierata, almeno loro. Subito intercettati ad uno ad uno dai genitori o da chi per loro, tutti ben attenti a non farseli sfuggire dall’ultimo placcaggio di questa stagione, perché con il Fabbro in giro ormai nessuno è più veramente tranquillo a Contrada delle Case Vecchie, un luogo dove troppo spesso può capitare che chi è qualcuno diventi uno qualunque.
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"CONTRADA DELLE CASE VECCHIE" di Antonio Milicia - Casa Editrice BookSprint -
Caro Lettore,
arrivederci al prossimo appuntamento letterario.