BIOGRAFIA
Stella Aurora è nata a Roma nel 1970, ha vissuto tutta l'infanzia e la giovinezza in un quartiere periferico di Roma : Il Prenestino Labicano. Diplomata al Liceo scientifico "Tullio Levi Civita", segue la sua passione per le scienze e si iscrive alla facoltà di Scienze Biologiche. Ha iniziato a muovere i primi passi nel mondo della lettura e della scrittura, creando e distruggendo mondi interi, visitando pianeti e tornando indietro nel tempo o andando avanti nel futuro. Sperava di diventare un divulgatore scientifico come Piero Angela, ma dovette abbandonare gli studi e dedicarsi al mestieri di mamma, tralasciando per un periodo la scrittura ma non la lettura e portando avanti la sua passione per la pittura e le arti decorative in generale. Si trasferisce nel Lazio nel 1992 ed inizia ad adottare gatti e cani abbandonati. Oggi ha 21 gatti e 2 cani. Il suo primo esordio letterario "Onirica", nasce da racconti notturni creati intorno al fuoco di bivacco, durante la sua lunga esperienza con gli Scout.
PRESENTAZIONE
Caro Lettore,
Nella vita, come nelle fiabe, ci si aspetta il lieto fine. Nelle fiabe moderne, il lieto fine è sottoposto al valore della giustizia. Una giustizia che non coincide con il concetto di felicità a tutti i costi, ma spesso e volentieri familiarizza di più con quello di “sacrificio”. Leggendo, entrerete in un labirinto di emozioni contrastanti che coinvolgeranno non solo i vostri sensi, ma anche le vostre coscienze.
Otto fiabe oscure in cui il finale può essere alternativo come nel caso delle storie “i vapori dell’inferno” o “sonno letale”, a ciclo infinito come “circuito chiuso” o “ad libitum” oppure aperto. In queste “fiabe” demoni, mostri vecchi e nuovi, fantasmi e alieni, aiutano i protagonisti a maturare secondo il principio ispiratore della vita del “premio o punizione”. Quando costoro non si rivelano all’altezza vengono eliminati. Per i mostri di tutti i generi, la sopravvivenza è affar serio e dovrebbe esserlo anche per i protagonisti, che spesso si rivelano meschini (una splendida giornata) o inadeguati (la lavatrice) e bisognosi di un “deus ex machina” a cui affidare la propria salvezza. Sempre che sia prevista.
Buona lettura…
E VISSERO? FIABE HORROR E DINTORNI
Premessa
A proposito di mostri. Chi mi conosce bene o pensa di conoscermi, ogni tanto mi domanda dove prendo le idee quando scrivo. Quando glielo dico, non so perché mi guarda torvo. Mia madre, la quale è ben informata sulla fonte dei miei racconti, sostiene che mangio troppo pesante e che se mi mettessi a dieta sarebbe meglio. Magari scriverei favole. Forse ha ragione. Considerando che la maggior parte delle cose che scrivo sono tratte dai miei incubi, probabilmente la sera dovrei davvero mangiare meno. Tuttavia, se devo dar retta alla scienza, la quale ci dice che in realtà i nostri sogni sono solo delle rielaborazioni del nostro cervello su fatti capitati durante la giornata, la dieta non serve. Domanda: che cosa vede la mia mente nel corso della giornata per rielaborala sotto forma di incubo durante la notte? Ai miei amici (che continuano a guardarmi storto) rispondo: voi come fate a seguire almeno tre telegiornali al giorno e a vivere tranquilli come se niente fosse? Lo ammetto, sono scorretta: non si risponde a una domanda con una domanda, ma questa è una domanda retorica (almeno per me) perché, in fin dei conti, quello che scrivo non è altro che il parto della mia fantasia (un po’ particolare, d’accordo), quello che racconta la televisione invece no.
Quindi il vero horror (splatter incluso), sia voi che loro, lo guardate scorrere tutti i giorni su quella piccola scatola quadrata che avete in casa. E chiedete a me che cosa mi ispiri? Vi svelerò un piccolo segreto: quando ero in terza media, la professoressa di italiano ci impose di seguire il notiziario della sera, scrivere le notizie sul quaderno e leggerle a scuola il giorno dopo. Questo per abituarci a seguire i telegiornali e a non restare ignoranti. Una noia mortale. Ma fu lì, che per la prima volta ebbi l’ispirazione: la mia testa, già allora, funzionava in maniera diversa, così convinsi le mie amiche a creare un tg parallelo. Nacque il Mortiziario. Era il 1984. Fu subito successo. Alla fine dell’anno scolastico eravamo diventate delle anchorman famosissime e imitate. Ovviamente rendevamo la cosa in chiave comica e riuscivamo a produrre servizi con tanto di effetti speciali (un registratore e rumori di sottofondo). Se ci penso, quasi quasi avremmo dovuto brevettare l’idea e farci pagare i diritti d’autore. Poi gli scout, le serate intorno al fuoco a raccontare storie lugubri hanno fatto il resto. In fin dei conti, escludendo la realtà che mi supera ampiamente, basta guardare al di là delle cose per coglierne talvolta la vera essenza.
Dopo questa divagazione, per tornare all’argomento iniziale, l’ispirazione e la sua conseguenza (è sotto gli occhi del lettore), faccio appello ai miei ricordi di letture infantili: fiabe, favole, miti, leggende e quant’altro. Chi, leggendo da bambino la versione originale di Barbablù, non è rimasto terrorizzato al vedere, insieme alla protagonista, le teste mozzate delle altre mogli? Se avete letto la versione edulcorata peggio per voi! Vogliamo parlare di Cenerentola, le cui sorellastre si tagliano i piedi pur di farli entrare nella scarpetta? Davvero un’immagine graziosa. Biancaneve, per i fratelli Grimm, era una smidollata e i nani dei trogloditi. E vi dirò di più: non si sveglia affatto per il bacio del primo amore, bensì ruzzolando mentre viene trasportata via nella sua bara dai nani. Sputa il pezzo di mela che le era rimasto in bocca e si rianima. Pensate un po’: morta apparente, quasi seppellita viva e con un bozzo in testa quando si sveglia per un null’affatto romantico capitombolo dalla propria bara. Eh sì, direi che non c’è male per assicurarsi che i bambini non dormano la notte. Questo perché la fiaba non è stata creata per i bambini, anche se vi hanno insegnato il contrario.
Racconta, in un modo particolare, l’iniziazione alla vita adulta di un giovane eroe, il quale di solito matura una condizione finale diversa rispetto alla partenza. Da stupido a maturo, detto fra noi. È la nostra civiltà che ci ha portato a cambiare le condizioni delle fiabe e a portarle a dimensione di bambino. La Sirenetta per Andersen muore; vive felice e contenta per Disney. Anche a me piace di più questa versione, ma non è quella originale. Vogliamo, anzi abbiamo, un disperato bisogno di lieto fine, perché nella nostra disgraziata società i mostri hanno l’aspetto non del lupo, ma quello di un signore perbene in giacca e cravatta che ti cattura, ti fa a pezzi e ti sotterra nel suo giardino. O nello scantinato. O in una camera bunker di cui nessuno sospetta l’esistenza. Parliamo di favole: da non confondere con le fiabe. Sono più antiche, contengono una morale, e normalmente gli interpreti sono animali (per il gatto nero mi sono ispirata a queste ultime), ma vi garantisco che non sono affatto sdolcinate, e anche queste sono destinate agli adulti. Visto che tanti non le capiscono, meglio che le leggano i bambini, potrebbero sortire un effetto migliore! E se andassimo indietro nel tempo? In fin dei conti le fiabe sono un’invenzione che risale più o meno al Medioevo.
Prendiamo la fiaba più antica giunta fino a noi: il mito di Gilgamesh. Costui è il primo uomo, dopo varie avventure incontra un nemico, Enkidù, che dopo essergli diventato amico ha la bella idea di morire, gettando nel panico il povero Gilgamesh che di morire non ha nessuna intenzione. Cerca un rimedio alla mortalità, lo trova (dopo aver faticato come un bue), e che gli succede? Si addormenta accanto alla pianta che dà l’immortalità, arriva un serpente e se la pappa lui. C’è da dire che gli antichi avevano anche senso dell’humour. Passiamo ai mostri di vario genere: che ne dite dell’Idra di Lerna? O della Chimera? Se non vi stanno troppo simpatici potete sempre rivolgervi a Medusa: vi posso garantire che guardandola rimarrete di sasso. E se non vi va di farvi ammaliare dalle Sirene (racchie come poche con il corpo da uccello e testa da donna), potete rivolgervi alla Sfinge che ha inventato l’enigmistica (per il pagamento esige la vostra vita). Fate attenzione comunque, perché se pensate di essere esenti dall’incontrare personaggi ameni come farabutti e serial killer, vi sbagliate di grosso. Pensate a Medea: ha trucidato il fratello spargendone le membra per rallentare gli inseguitori, ha ucciso i propri figli (e non è stata la sola) per far dispetto al marito. Clitennestra (moglie di Agamennone, grande eroe greco) ha fatto fuori marito e schiava (la povera Cassandra, maledetta a sua volta da Apollo) e il figlio ha fatto fuori lei e si è ritrovato a scappare dalle Furie o Erinni.
Insomma, da che mondo è mondo, l’uomo ha sempre convissuto con il terrore (e con le soap opera!). Come dice saggiamente Qhoelet “Non c’è niente di nuovo sotto il sole.” Che vogliamo farci? Le abitudini sono dure a morire, e quella di spaventarci sembra la più longeva. Quindi smettiamo di dire che l’horror è un’invenzione recente; Poe, Lovecraft, la Shelley lo hanno attualizzato, ma come me, non hanno inventato niente di nuovo. Non ci credete? Peggio per voi! Ci credete? Tanto meglio! Così, mentre vi lambiccate il cervello alla ricerca della soluzione al dilemma, nel miglior stile circense, io continuo a lanciare il mio “Venghino, signori! Venghino!”, aspettando che per tre soldi entriate nel mio circo, dove, vi prometto, avrete lo spettacolo per il quale avete pagato, e dondolandovi in quel luogo sospeso tra realtà e sogno, decidiate di lasciarvi di nuovo guidare da me. Altrimenti la risposta la conoscete già. Peggio per voi! PS. In questa mia seconda raccolta di racconti ho deciso di complicarmi la vita e creare delle storie a percorso multiplo, con finali alternativi ecc., ecc... Buon divertimento.
I vapori dell’inferno
Splende il fuoco nel cerchio degli esplorator,
ascoltate la voce della fiamma d’or.
Sali al ciel, fiamma leggera,
del gran fuoco caldo e buon.
Sotto i pini o alla brughiera
sali in alto e sali ancor.
Sali in alto sali ancor,
fuoco dell’esplorator.
(La leggenda del fuoco - Canto scout)
Le tradizioni sono tradizioni. E le tradizioni vanno rispettate. Se tuo nonno fece gli scout, tuo padre pure, anche tu farai gli scout. Quando siederai intorno al fuoco, prima o poi, finirai per ascoltare prima, e raccontare poi, storie dell’orrore. E prima o poi sentirai parlare di una squadriglia fantasma. Ho fatto decine di esperienze tra routes e campi di reparto, ho girato mezza Italia e non c’è paese che non abbia la sua squadriglia fantasma. I racconti suonano più o meno tutti così: una squadriglia va in uscita, si perde, al colmo della disperazione incontra un’altra squadriglia di ragazzi che li aiuta. Passano la notte insieme, si divertono. La mattina dopo l’altra squadriglia se n’è già andata, loro raggiungono il paese, raccontano a qualcuno del luogo la loro avventura e chiedono di poter andare a ringraziare i loro amici. A quel punto, il personaggio li invita a incamminarsi verso la piazza del paese dove normalmente si erige una statua o una targa commemorativa che ricorda come un’intera squadriglia di ragazzi durante un’uscita si sia persa e i corpi non siano mai stati ritrovati. Un cliché che ho sentito, con poche varianti, in moltissimi posti. Per curiosità, ho provato anche a cercare le targhe o le statue. Il più delle volte sono fantasie dei ragazzi per spaventare i piedi teneri (vengono chiamati così gli ultimi entrati in squadriglia). Il più delle volte. Altre volte le targhe commemorative ricordano dei disastri reali.
Ma le leggende sono solo leggende. Il più delle volte. Io la squadriglia fantasma l’ho incontrata davvero. E i loro corpi non furono mai trovati, perché non c’erano corpi da trovare. E sono realmente apparsi quando ne avevamo bisogno. E almeno due di loro sono ancora lì. Uno di questi sono io. Iniziò tutto in maniera normale, con l’ultima uscita di squadriglia prima del campo estivo. Era l’ultimo anno per me nel reparto e con l’inizio del nuovo anno scout, sarei passata al noviziato dicendo addio alle mie squadrigliere. Sarebbe stata un’uscita speciale. Non avrei mai immaginato quanto.
Per quel che riguarda questa storia, ho deciso di creare due finali A e B.
Finale A
Di quell’uscita, l’unica cosa ordinaria fu il rientro. Se non fosse stato per il provvido intervento di una squadriglia maschile, forse non saremmo riuscite a tornare. Tutto per colpa di quella stupida nebbia calata all’improvviso. Ovviamente uno scout deve sempre essere preparato a ogni evenienza, ma una nebbia come quella non era né prevedibile né un ostacolo facile da superare. Soprattutto se ci si trovava su un sentiero poco battuto. Siamo state fortunate oltre che brave. Se non avessimo incontrato quei ragazzi, molto più esperti di noi, ci saremmo perse. Io, da caposquadriglia, avevo provveduto a far 'legare' tutte le ragazze con i cordini, in modo da formare un’unica cordata, ma la visibilità era ridotta ai minimi termini. Temevo di girare intorno. Poi, per caso, li incontrammo sul nostro sentiero e decidemmo di unirci a loro per continuare la strada insieme. Fu una saggia decisione.
Lo ammetto, se ci penso adesso, quei ragazzi avrebbero dovuto già sembrare strani: niente cellulari, attrezzature molto vecchie (anche se ben tenute), divise antiquate; ma lì per lì non ci badai molto. Qualche volta capita di incontrare ragazzi scout facenti parte di altre associazioni, con tradizioni ed equipaggiamenti diversi, perciò perché andare a cercare il pelo nell’uovo? Non eravamo più sole e tanto già bastava. Riuscimmo a raggiungere la destinazione prefissata, svolgere le missioni affidateci e a passare una serata in perfetto stile scout, al fuoco di bivacco. Ero dispiaciuta di non averli visti, la mattina dopo. Quando ci eravamo svegliate, erano partiti da un pezzo. Un messaggio attaccato al nostro guidone ci indicava la direzione giusta da prendere. Niente numeri di cellulare, mail, contatti Facebook, niente spiegazioni. Così come erano venuti, se ne erano andati. Nel disfare lo zaino, una volta a casa, trovai la spilla del cappellone del caposquadriglia in una delle tasche esterne. La tenevo ancora in mano quando, dopo una doccia rilassante e la pancia piena, me ne stavo tranquilla al calduccio tra le coperte del mio letto. Niente a che vedere con il freddo patito la sera precedente. Per quanto si possa avere la migliore attrezzatura del mondo, il freddo proprio non lo si riusciva a evitare.
Devo dire però che quello era anche il momento più piacevole. Ci si rannicchiava tra le compagne e si ascoltava il vento... Avrei voluto rivederli. Almeno per salutarli. Accidenti, proprio non riuscivo a distogliere la mente da quell’evento. Mi addormentai con la spilla in mano. Sognai due ragazzi in divisa scout che si dirigevano verso la nostra parrocchia. «Dai Gina, che facciamo tardi!» disse il ragazzo. «Un attimo, Alessandro» rispose la ragazza. Dovevano essere fratelli, si somigliavano molto: entrambi con gli occhi azzurri e i capelli castani. Uscivano da un portone, su una sterrata Viale Partenope, dove erano visibili ancora i tralicci dell’alta tensione. «Oggi per te è il gran giorno, sorellina! Diverrai vice!» La ragazza sembrava poco convinta. «Perché dobbiamo fare uscite separate, secondo te? Preferirei che non esistessero gruppi scout solo femminili o solo maschili!» «Tranquilla! Vedrai che prima o poi succederà. Per il momento è così. Sei troppo coinvolta con questa storia della parità dei diritti.» Il ragazzo rise. Il sogno si fece oscuro. Il reparto maschile era di ritorno, sporchi, laceri e contusi. Le loro facce erano tristi. Ad accompagnarli c’era la polizia. La ragazzina di prima correva da un ragazzo all’altro gridando angosciata.
«Dov’è Alessandro?» Nessuno rispose. Qualcuno abbassò la testa, i più piccoli piangevano. Il volto della ragazza si fece terreo. «C’è stata una frana!» accennò uno dei più grandi. «Siamo stati travolti da un’ondata di fango e acqua! Alessandro ci ha salvato tutti, ma...» Non riuscì a finire, era visibilmente commosso. «È stato un eroe, ma la stanchezza lo ha tradito. Le braccia non lo hanno più sostenuto e l’acqua se l’è portato via.» «Nooo! Non Alessandro! Non è possibile! Fatemelo vedere! Dov’è mio fratello?» Un poliziotto a fatica cercava di calmarla. «Non è stato possibile ritrovare il suo corpo. Le ricerche sono tutt’ora in corso...» La ragazza pianse sconvolta chiamando il nome del fratello. Prima di svegliarmi, un’ultima immagine mi passò davanti agli occhi: una signora anziana che dava da mangiare ai gatti. Ho avuto un’epifania! Era la signora Gina! La gattara! E Alessandro... “Cavolo!” realizzai, “abbiamo incontrato nientemeno che la squadriglia fantasma!”
Non raccontai niente a nessuno. Per essere creduta avevo bisogno di certezze anch’io. Nel pomeriggio, dopo la scuola, mi recai ad aiutare la signora Gina con i gatti. L’avevo conosciuta così. Avevamo lo stesso amore per i randagi e ci incontrammo lì davanti alla scuola mentre, ignare l’una dell’altra, portavamo un po’ di cibo ai gattini. Ci piacemmo sin da subito, instaurando un rapporto cordiale, anche se non avevo mai saputo che da giovane avesse fatto parte degli scout. Questa era la seconda cosa che ci accomunava, la terza era Alessandro. Che cosa le avrei detto? Mi avrebbe mai creduta? Avrei riaperto vecchie ferite? I dubbi mi assalivano mentre l’aiutavo con i piatti. Avevo quasi deciso di non dire più nulla quando, per prendere il fazzoletto, mi rotolò dalla tasca la spilla di Alessandro, finendo tra i piedi della donna, la quale, raccolta per passarmela, rimase fulminata non appena la osservò meglio. Passammo il resto della giornata insieme e le raccontai ogni cosa: dall’incontro al sogno. «Oh, Alessandro!» sospirò la donna. «Quanto mi sei mancato! E quanto mi manchi!»
Strano a dirsi, non aveva minimamente dubitato delle mie parole, pendeva dalle mie labbra. Provai un senso di infinita tenerezza per quella donna. Lacrime calde le rigavano il volto. Le porsi la spilla. «Penso che Alessandro volesse che l’avesse lei, in qualche modo.» Piangevo anch’io. La signora Gina, dopo che ci fummo calmate, la prese in mano e la mise accanto a una foto del fratello, poi prese da un cassetto un vecchio album fotografico e ne staccò una che ritraeva Alessandro insieme alla sua squadriglia e me la porse. «Riconosci qualcuno di questi?» mi disse porgendomela. La osservai per un breve istante. «Sì! Sono gli altri ragazzi che erano con lui! Tutti meno questo!» e indicai il vice. «È strano» continuò la signora Gina, «tutti i ragazzi tornarono a casa, solo Alessandro morì! Ascolta» continuò, «prendi questa foto! Sono sicura che ti servirà. Non so spiegarti il perché, ma sento che non è finita qui. Se ricordo la leggenda della squadriglia fantasma, loro appaiono quando qualcuno è in pericolo. Ma qui c’è qualcosa che non va! Solo Alessandro morì in circostanze misteriose. Gli altri membri della squadriglia sono vivi e vegeti. Come potevano essere con lui se non sono nemmeno morti? Prendila, cara! Prendi questa foto, io pregherò per te affinché non ti accada nulla di male!»
Mi accomiatai da lei stringendo in mano la foto e me ne tornai a casa. Quella sera scannerizzai la foto al computer e la stampai ingrandita. Volevo mostrarla l’indomani alle ragazze della squadriglia. Osservai a uno a uno i ragazzi: ovviamente avendoli incontrati solo due giorni prima, i loro volti erano impressi nella mia memoria, ma curiosamente anche il volto del vice mi era noto. Come poteva essermi familiare se non lo avevo mai visto? Forse lo conoscevo da anziano? Cercai nella mia cartella di foto dei campi scout e se non morii di infarto fu semplicemente perché non era la mia ora. Quel ragazzo, vivo e vegeto, apparteneva a un gruppo scout con il quale eravamo gemellati. O forse si trattava solo di un incredibile coincidenza. In questa storia c’erano troppe stranezze. Mi addormentai sperando di avere in sogno altre spiegazioni ma non ne ebbi. Il giorno dopo radunai le mie compagne a Villa Gordiani. Volevo mostrare loro le mie scoperte. Debora, la vice, fu la prima a sopraggiungere. Avrei voluto aspettare anche le altre, ma non resistevo. Dovevo parlarle delle mie scoperte. Sedute su una panchina, le mostrai la foto. Ebbe un lieve sussulto. Due mamme che spingevano i loro bimbi sulle altalene gettarono un’occhiata preoccupata nella nostra direzione. Vedendo poi che eravamo tranquille, tornarono alle loro occupazioni.
«Ti rendi conto di quello che mi stai dicendo? Che abbiamo incontrato la squadriglia fantasma! Non mi stai facendo uno scherzo, vero?» «Scusa» le dissi piccata, «e la foto dove l’avrei presa?» «È una foto scannerizzata, potresti aver usato Photoshop.» «Ti rendi conto della stupidaggine che stai dicendo? I volti come li avrei ricostruiti, a memoria? E poi guarda questo» le mostrai il particolare ingrandito della foto del vice e la foto del ragazzo del gruppo. Un pallone arrivato troppo vicino alla nostra panchina mi fece trasalire. Lo afferrai e lo buttai in malo modo verso il gruppetto al quale apparteneva. Notai un becco spuntare da uno dei ragazzi. Stavo iniziando a farmi suggestionare. Tornai a Debora. Nel frattempo le altre ragazze ci stavano raggiungendo. “Speriamo che siano meno testone di questa qui” pensai tra me. Mi alzai per salutarle con il braccio e rivolsi per caso lo sguardo su due anziane donne che trascinavano il carrello della spesa. Una di loro si voltò verso di me e sorrise. Sentii il sangue gelarsi nelle vene: aveva canini aguzzi come un cane e gli occhi non avevano iride. Non poteva trattarsi solo di suggestione.
«Hai visto?» dissi rivolgendomi a Debora. «Visto cosa?» mi rispose, sollevando lo sguardo dalla foto su di me. «Stanno accadendo cose strane!» «Ma piantala! Ti stai facendo suggestionare!» Le ragazze ci raggiunsero. Il pianto di un bambino in carrozzina mi distrasse. La mamma lo stava tirando fuori per prenderlo in braccio, solo che non era un bambino. Un orrido serpente mi fissava dalle braccia di una megera. «Andiamo via!» dissi. «Per andare dove?» ringhiò una voce alle mie spalle. Mi voltai di scatto. Il ragazzo della foto era lì davanti a me. «Non lo dirai a nessuno!» Mi ritrovai circondata mentre il paesaggio intorno a me cambiava. Orride creature senza volto, ma con artigli affilati, lentamente iniziavano ad accerchiarci. «Debora!» urlai con tutto il fiato che avevo in corpo. «Scappiamo!» «Per andare dove?» mi chiese lei. «Io qui ho trovato la mia dimensione.» Così dicendo si avvicinò al ragazzo e lo baciò. Si girò poi verso le altre. Arretrai verso le altre ragazze. Non si muovevano, erano come ipnotizzate. «Sveglia!» gridai. «Dobbiamo fuggire!» Non rispondevano, avevano lo sguardo perso nel vuoto. La risata sguaiata di quei due mi lacerò i timpani. Si avvicinavano. Temetti per le ragazze. Non esitai a saltargli addosso. Non mi importava di morire, ma non avrei permesso che toccassero le ragazze. Fu inutile. Mi agguantarono. Una mano artigliata mi trapassò il petto strappandomi il cuore. Fu l’ultima cosa che vidi con i miei occhi terreni. Quando trapassai, Alessandro era accanto a me. Debora e l’altro ragazzo banchettavano con il mio corpo. In lontananza, le altre ragazze assistevano allo spettacolo. Mi girai verso Alessandro e capii che anche lui doveva aver subito la stessa sorte che era toccata a me. Pensai che non si sarebbero accontentati del mio corpo. Temetti per le altre. Mi sbagliavo. Vidi a una a una tutte le componenti della mia squadriglia stringere le mani in un patto infernale con quei due.
«Grazie alla vostra dedizione, avrete una vita lunga e prospera.» Non potevo crederci. E io che avevo dato la vita per loro. «Guarda qui» disse Alessandro. Mi indicò la nebbia. Attraverso di essa potei notare dei volti familiari. Erano quelli delle mie ragazze in divisa scout. «Ci hanno sempre detto che c’è il cinque per cento di buono in ognuno di noi» soggiunse «ed è su quello che lavoriamo. Il nostro sacrificio non è stato vano. La salvezza delle loro anime dipende da quel misero barlume di coscienza che con la nostra morte siamo riusciti a scuotere. Ora resteranno con noi finché non avranno riparato al male fatto.» Non capivo come sarebbe stato possibile, ma sentivo che dovevo fidarmi di lui. Osservai il mio funerale, avvenuto come per lui con una bara vuota. Un maniaco, si diceva, doveva avermi uccisa o portata chissà dove. Non si erano ritrovati che qualche effetto personale. Le ragazze testimoniarono che ero stata rapita da un pazzo e nei loro ricordi fu veramente così. La loro parte, la loro coscienza, è ancora qui con noi. Siamo diventati dei fantasmi, l’unico baluardo ancora in grado di fermare quei due mostri.
Ce ne sono altri come loro, si stanno cercando, forse si troveranno. Noi tentiamo di impedirlo. Soprattutto ci prodighiamo al fine di impedire che altri vengano sedotti dal loro potere. Viviamo in un eterno limbo io e Alessandro, almeno fino a che 8il mondo esisterà. Man mano che i membri delle nostre squadriglie muoiono, si ricongiungono alla loro coscienza e ci aiutano a combattere i mostri. Stiamo diventando sempre più forti. Nessuno dall’altra parte sa nulla, solo una vecchietta che nutre i gatti ha posto la mia foto accanto a quella di un ragazzo morto trent’anni prima e prega incessantemente per noi. Uno strano gatto nero veglia su di lei e qualche volta anche su di noi. Ci ha assicurato che tutto questo avrà una fine, ma che dobbiamo resistere. Spero che tutto questo avvenga presto. Siamo come nella canzone, prigionieri che attendono di essere liberati.
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E VISSERO? FIABE HORROR E DINTORNI di Aurora Stella - EUS Edizioni -
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Caro Lettore, arrivederci al prossimo appuntamento letterario.