BIOGRAFIA AUTORE
Elvio Ravasio nasce a Lecco nel ’64, vive e lavora a Milano. Lettore compulsivo di letteratura fantasy e da sempre appassionato di fumetti, cinema, serie tv e cartoni animati. Cerca di trovare un equilibrio dividendo la sua vita tra famiglia, letteratura, sport e lavoro ma non ci riesce quasi mai. Inizia a scrivere quasi per gioco nel 2001 fino ad arrivare alla pubblicazione con GDS de I Guerrieri d’Argento 2011, Altèra 2012 e Ombre dal passato 2013. Il ciclo si concluderà con un quarto volume in fase di scrittura.
Nel 2013 pubblica i racconti Galassia Magellano nell’antologia “50 sfumature di SCI-FI” (La Mela Avvelenata book press); Il treno nell’antologia “Natale e dintorni” (Alcheringa Edizioni); arriva finalista nel premio letterario Io Racconto con 11 secondi. Nel 2014 il suo racconto Il patto è stato scelto per far parte dell’antologia “Draghi e cavalieri erranti”. Nel 2015 il racconto Rachele e il vento viene pubblicato nell’antologia “I sogni sono come le farfalle” (Alcheringa Edizioni);
Ha partecipato come membro della giuria d’eccellenza per il concorso letterario Storie Fantastiche 2013, e 2014 promosso dall’associazione culturale Games Rebels. Impegno che si rinnoverà nel 2015.
PRESENTAZIONE
I Guerrieri d'Argento è un fantasy per ragazzi narrato in terza persona. I tre protagonisti Elamar, Nayla e Gotland si ritrovano a vivere un'avventura unica, acquisendo poteri permanenti e in continua evoluzione che impareranno a gestire, la figura leggendaria dell'eroe fantasy lascia spazio a qualcosa di diverso avvicinandosi al mondo dei supereroi. Uniti da una profezia a loro sconosciuta devono attraversare le lande di Arishtar affrontando innumerevoli pericoli.
Tre caratteri diversi con poteri incredibili, solo un'intesa perfetta renderà possibile la sconfitta delle orde oscure. Qualcosa emerge dal passato dei ragazzi svelando verità a loro sconosciute. In loro aiuto verranno i sette Re degli immortali; gli omini, etnia rimasta nelle viscere della terra per diverse ere; gli emidi, discendenti degli immortali, stabilitisi a bosco senza tempo, gli armeidi e meravigliosi draghi.
Per immergersi completamente in questa fiaba sono stati tolti tutti i tipi di riferimento usuali di spazio tempo e sostituiti con cicli, lune, lunghezze, braccia e altri nomi inventati in modo da avvolgere il lettore in questo mondo immaginario.
Una storia forse classica ma avvincente che vi porterà dove la fantasia è l'unico limite.
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Buona lettura...
I GUERRIERI D'ARGENTO
I Capitolo
Nella VIII Era del tempo di Ulum: prima della battaglia di Lemor, della grande piena e ancor prima dell’Adunanza, sulle lande di Arìshtar il tempo trascorreva sereno.
Arkàdon regnava sulle lande dal sacro monte Umar, una montagna impervia e austera. La cima era invisibile a occhio nudo e le pareti inaccessibili, una nebbia densa ne avvolgeva la parte centrale formando un fitto anello impenetrabile.
Lampi e tuoni si sprigionavano da quel fumo consistente, rendendo impensabile il solo avvicinarvisi. Non esisteva appiglio, grotta o sentiero al di fuori della via principale. Pietre bianche e levigate delle miniere di Simpur lastricavano la salita formando un serpentone bianco che si snodava e s’inerpicava sul pendio ovest della montagna. Essa conduceva al sacro portone di Kardon che prendeva il nome dalla città sacra.
Un portone antico come il tempo, costruito con legno d’ondrio ormai sconosciuto ma più robusto di qualsiasi metallo. Intagliati a colpi d’ascia Kardoniana, figure e volti di antichi Dèi sembravano trafiggere i viandanti arrivati fino a lì. Un alone mistico e inquietante avvolgeva quel luogo. Oltre il portone, un’interminabile fila di gradini conduceva alla città degli immortali (lettura dal libro di Iljia, I capitolo della I Era) lo spettacolo che si ammirava, una volta arrivati alla fine della salita, lasciava senza fiato.
All’ingresso della città si ergevano due pilastri, costruiti con enormi blocchi quadrati di pietra marmorea uniti da un arco centrale. Simboli incomprensibili ne ricoprivano la superficie, solo il libro di Iljia avrebbe potuto dar loro un significato.
Sette torri bianche, disposte a semicerchio, contornavano la grande piazza principale della città. Non esistevano porte alla base delle torri, solo una scala piuttosto stretta, senza protezioni e con gradini sospesi uniti alla torre sul solo lato corto. La scala girava tutt’attorno e portava alla sommità, dove s’intravedeva una piccola apertura. I tetti delle torri erano incredibilmente appuntiti e svettavano verso il cielo come aculei.
La piazza era circolare, con un pozzo al centro che emetteva dall’interno una luce straordinaria, di color bianco ghiaccio, ma allo stesso tempo calda e rassicurante.
Sulla sinistra, si ergeva il palazzo del Consiglio. Una costruzione esagonale, austera e imponente. Nessuna finestra alle pareti, solo una grossa cupola di cristallo alla sommità permetteva alla luce di illuminarne l’interno. Quando il sole era allo zenit, un gioco di disegni e colori si componeva sul pavimento del palazzo.
Un dedalo di case e viottoli interminabili, brulicanti di gente in movimento, si disperdeva sul lato destro della piazza e si estendeva attorno alle torri e al palazzo del Consiglio. L’insieme architettonico, in determinati momenti del giorno, quando i raggi del sole filtravano tra le torri, sembrava raffigurare nel cielo il Drago argentato di Prikiar.
L’origine dei sette Re, che risiedevano nella città, si perdeva nella notte dei tempi, forse dalla creazione stessa. Quelle fantastiche terre erano immerse in leggende e fiabe, la tradizione popolare le tramandava, narrandole in ogni angolo conosciuto.
Una terra, quella ai piedi della montagna sacra, aspra, povera e priva di vegetazione, con enormi formazioni rocciose alte poco più di sei braccia, ma con sommità completamente piatte. Altopiani di roccia, dei quali sembrava che qualche sortilegio avesse levigato la superficie. Solo alcune tribù di goljis, una popolazione originariamente nomade stabilitasi in quei territori dopo la grande siccità, riuscì ad adattarsi a tali condizioni di vita, sfruttando anfratti e grotte naturali che s’inoltravano all’interno delle formazioni, nelle quali scorreva un torrente di acqua tiepida scoperto per caso durante le loro perlustrazioni.
Nessun altro ne era a conoscenza e il segreto era custodito gelosamente, suggellato con un giuramento tra tutte le tribù della zona. I vapori di tali acque favorivano la crescita di alcuni tipi di piante, con fiori viola e foglie vellutate, che pur al buio riuscivano a espandersi. Venivano usate per preparare tisane e decotti curativi e qualcuno diceva che in certi casi fossero addirittura miracolosi.
Circa due leghe più a sud si trovavano le verdi distese della valle dei pendii, una conformazione alquanto bizzarra, completamente priva di parti pianeggianti, un susseguirsi di pendenze più o meno lievi che si alternava in svariate direzioni.
Alcune vie di comunicazione, ricavate con calcolo strabiliante in un susseguirsi di saliscendi, permettevano di attraversare la regione. Un’unica regola caratterizzava la realizzazione di queste strade: non dovevano mai attraversare un pendio nel mezzo, avrebbe dannneggiato le coltivazioni, ma questo rendeva il percorso piuttosto tortuoso.
Sui pendii, si ammiravano immense coltivazioni di foglialunga a perdita d’occhio. Una pianta originaria del posto e piuttosto bassa. Cresceva al massimo due spanne e aveva foglie molto robuste che raggiungevano la lunghezza di due braccia. Erano usate, perlopiù, per la costruzione di capanne, tetti e particolari ombrelli a falda larga molto utili durante il periodo delle pioggie.
Naturalmente le costruzioni erano al di fuori dei pendii, il villaggio abitato dai cèldi si trovava ai confini ovest delle piantagioni dove iniziava la pianura.
Era costituito da circa una cinquantina di case a un piano, di dimensioni più o meno identiche; avevano tetti spioventi, una finestra per ogni parete e porte a due battenti con un foro al centro. Le case erano costruite con vera maestria, usando fango e foglialunga. Il tutto dava un aspetto curato e robusto alle costruzioni. I muri erano levigati e la presenza delle foglie, nell’impasto, donava un riposante color verdino. All’interno i mobili, in legno di folca, rendevano l’ambiente caldo e confortevole. Non erano particolarmente rifiniti ma ben lavorati e robusti.
I cèldi erano un popolo di commercianti, incredibilmente esperti e curiosi, con un’abilità nella costruzione di marchingegni e macchinari a dir poco eccezionale. Vendevano foglialunga ai mercati e alle fiere in tutte le lande. Una volta all’anno, caricati i carri fino all’inverosimile, affrontavano il viaggio per la lontana regione di Perjas, all’estremo nord delle terre conosciute dove si riunivano tutti i più abili venditori. Lì si trovavano anche alcuni goljis, con manufatti di terracotta di varie misure riempiti con le loro preziose erbe essiccate.
A est della terra dei pendii c’era un fitto bosco di alberi secolari alti più di cinquanta braccia. Una vegetazione talmente fitta da non permettere una visione ampia del paesaggio: il sole filtrava attraverso le fronde degli alberi e i raggi sembravano lame che tagliavano la foresta. Alcune leggende narravano di abitanti con strani poteri che vivevano nel folto della vegetazione, ma né cèldi né goljis ne avevano mai visti, almeno fino a quel momento.
Ogni anno si facevano quattro raccolti di foglialunga, ognuno di essi era un avvenimento quasi religioso, la preparazione era minuziosa, ciascuna persona aveva un compito ben preciso: chi seguiva i macchinari per la raccolta, chi sollevava le foglie per il taglio, chi le immagazzinava e le preparava per l’essicazione.
Gli addetti al magazzino scaricavano i carri e disponevano con cura il raccolto nelle apposite capanne, l’essicazione delle foglie aveva luogo disponendole su una ruota azionata da un contrappeso. Si fissavano le foglie al bordo interno della ruota, per poi farla girare ad alta velocità; la forza centrifuga spingeva verso l’esterno l’umidità trattenuta dai pori, che veniva eliminata quasi completamente. Per evitare la decomposizione delle foglie ancora verdi, si poggiavano su appositi ripiani estraibili che permettevano una buona aerazione e quindi la completa stagionatura.
La caratteristica di questa pianta era che, nonostante fosse essiccata, manteneva un’elasticità e una morbidezza notevole e poteva quindi essere usata per innumerevoli scopi e per un lungo periodo di tempo.
Il terzo giorno del secondo raccolto dell’VIII Era di Ulum, il cielo si oscurò, un vento impetuoso cominciò a soffiare disperdendo la merce lungo i pendii. I cèldi, impauriti, cercarono di salvarne il più possibile. Nessuno aveva mai visto un simile fenomeno climatico, ciò non aveva spiegazione e, nonostante la maggior preoccupazione fosse rivolta al recupero della foglialunga, l’ansia e lo sgomento iniziarono a insinuarsi nei loro animi.
I fatti che accaddero successivamente, ci portano a narrare l’incredibile storia che qui ha inizio e a scoprire un mondo governato da forze arcane e misteriose, nelle cui spire molti furono coinvolti. Molti la cui tenacia e coraggio divennero esempio per le generazioni che seguirono.
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I GUERRIERI D'ARGENTO di Elvio Ravasio - Editore GDS -
Caro Lettore, arrivederci al prossimo appuntamento letterario.