BIOGRAFIA AUTRICE
Silvana Adami è nata nel 1966 e vive da sempre in provincia di Verona. Lavora da molto tempo nel mondo della moda, non quello patinato delle passerelle, ma dove l’abito Made in Italy viene disegnato, progettato e realizzato in concreto.
Ha esordito con l’antologia di racconti Donne da corsa (Booksprint 2011) usando come pseudonimo Francesca Amici. Con Donne da viaggio (WLM 2012) irrompe sulla scena veronese accanto al Sindaco di Verona, Flavio Tosi, che accetta di essere ospite alla prima presentazione del libro, tenutasi il 27 febbraio 2012 presso la Feltrinelli di Verona. Successivamente escono il saggio Poohrenoi. Storie vere di fan (Sassoscritto 2013), che si aggiudica il premio “ Emotion” al prestigioso Concorso Letterario della Città di Cattolica 2014, e il romanzo Le ragazze sveglie hanno sempre un piano B (Sassoscritto 2013).
PRESENTAZIONE
Caro Lettore,
quando ho cominciato a leggere “Donne da viaggio” non pensavo che sarei arrivata a pormi questa domanda: perché si viaggia? In queste pagine, come nei più riusciti romanzi, Silvana ci porta a pensare al senso del viaggiare.
Le protagoniste di questo libro viaggiano per svariati motivi: lavoro, vacanza e a volte anche per fuga. Il viaggio diventa il manichino sul quale viene adagiato l’abito della narrazione che viene cucito addosso alle protagoniste dei racconti.
È il filo d’Arianna del labirinto dell’animo umano di queste storie che trasforma il paesaggio e trascina le vite fino all’estremo. Il linguaggio è diretto, schietto, con un ritmo incalzante.
Durante la lettura, quasi dimenticherai di avere un libro tra le mani, ti sentirai protagonista del viaggio e ti sembrerà di trovarti dall’altra parte del mondo insieme a loro, comincerai a seguirle, a prenderne le parti, a soffrire e a ridere insieme a loro.
Il “Filo” conduttore delle storie, la moda o meglio la sartoria. L’autrice, scrive e racconta come se stesse utilizzando ago e filo, cucendo le storie addosso alle protagoniste, come fosse una metafora di sé, dell’auto determinazione.
Alla fine del libro proverai nostalgia del viaggio ormai concluso, proprio come se fosse stato davvero il tuo viaggio. Ritornerai anche tu cambiato, perché ogni viaggio per chiunque è una scoperta, è un apertura al mondo, è uscire dalle mura della propria casa ed affrontare la vita.
(Raffaella Lamastra)
L’AUTRICE inizia il suo romanzo con questa frase :
Questo libro è dedicato a te, che lo hai scelto.
Con l’augurio che ti diverta a leggerlo almeno la metà di quanto io mi sono divertita a scriverlo!
Questa, per me, è la cosa più importante.
* * *
Buona lettura…
DONNE DA VIAGGIO
La seconda opportunità
«Silvia, vieni a conoscere il signore che è venuto a fare il colloquio per il posto di controllo qualità» dice Andrea affacciandosi alla porta del mio ufficio. «Sai, non mi ricordavo il suo nome l’altro giorno, quando te ne ho parlato, ma credo che potresti conoscerlo. Mi sembra che abbia lavorato per un cliente che seguivi tu quando eri nell’azienda di Giovanni.» Poi abbassa la voce e aggiunge: «Mi fa un po’ pena. Pare disperato, l’ultimo posto per cui ha lavorato ha chiuso e non gli hanno dato neanche la mobilità, gli mancano pochi anni per la pensione e mi ha quasi implorato di prenderlo in prova. Si accontenta del minimo dello stipendio. Con la sua esperienza potrebbe esserci utile.» Lascio in sospeso quello che stavo facendo e colgo volentieri l’occasione per una piccola pausa. C’è sempre così tanto da fare, ma un intervallo a volte fa bene. Seguo Andrea nella saletta dei colloqui con la testa ancora sul lavoro appena interrotto, ho ascoltato distrattamente quello che mi ha detto. Ammutolisco alla vista dell’uomo che si alza per stringermi la mano sorridendo. È invecchiato molto, ma lo riconoscerei anche tra cent’anni, quel sorriso untuoso è unico. Per un attimo lui mi guarda, forse non mi riconosce, tenta di stringermi la mano, ma io non ricambio. Sembra sorpreso dall’espressione di sgomento che di sicuro mi legge in faccia. La mano tesa gli ricade lungo il fianco, prima di riprendersi e violentarsi costringendo i muscoli della faccia in un sorriso forzato. In un attimo mi torna alla memoria quel primo viaggio in Romania che feci tanti anni fa, e penso che in effetti, a volte, i ricordi ti perseguitano.
«Franca! Guarda che sfigato quell’aereo, t’immagini quelli che ci devono salire? Speriamo che abbiano fatto testamento!» dissi alla mia collega, mentre il pulmino dell’aeroporto di Orio al Serio ci stava accompagnando al volo in partenza per Bakau, Romania. L’aereo in questione faceva davvero paura, con le ali piegate e la ruggine che colava dai bulloni, sem-brava un vecchio stanco che chiedeva solo di poter riposare. La scritta “Air Moldova” era appena visibile, ma lasciava capire molto. Eravamo nel luglio del 199... Le frontiere erano an-cora tali e per andare in Romania dall’Italia serviva il passaporto. «Signora,» intervenne con voce rassegnata un uomo che si trovava vicino a noi, «quello è il nostro aereo.» “Ma come?! Se avevamo fatto il check-in allo sportello della Carpatair, cosa c’entrava quell’affare?” Un altro passeggero, leggendomi la sorpresa in faccia, spiegò che succedeva sempre così. Facevi il check-in con una compagnia, ma poi non sapevi su quale aereo saresti salito. Quando si andava nei paesi dell’Est bisognava aspettarsi di tutto. Mi sentii sprofondare, in un attimo rividi tutta la mia vita e il pensiero più disperato fu per mia figlia Elisa di tre anni. Ero certa che stavolta non l’avrei più rivista. Chi le avrebbe dato il fratellino che da un po’ di tempo mi chiedeva? Chi le avrebbe fatto fare i compiti quando sarebbe andata a scuola, se suo padre mi aveva sempre detto che lui non ne voleva sapere? Con il suo lavoro di rappresentante di tessuti, faceva orari impossibili. Già me la vedevo a prendere le sgridate dalla maestra perché lasciava a casa i quaderni, con le altre mamme che la compativano: “Povera orfanella, sua madre è morta, cosa volete che faccia un papà da solo?” E poi cosa avrebbero detto se avessero trovato sul mio corpo la “Busta”? Se mi fossi salvata e mi avessero trovata ferita a chi avrei dovuto rendere conto di ciò che conteneva? Se fossi sopravvissuta, avrei passato il resto dei miei giorni in prigione? Credo proprio di sì, non tutti magari, comunque, una buona parte certamente. Chi me lo aveva fatto fare di accettare quel viaggio per un lavoro che non sarebbe neanche stato di mia competenza? Accidenti a me e alla mia mania di strafare e di vivere sempre nuove esperienze!
Cosa mi potevo inventare in fretta e furia per non entrare in quella bara? Non feci in tempo a pensare ad una scusa plausibile tipo un attacco cardiaco, un ictus o una più semplice crisi epilettica, che il pulmino si era già fermato a fianco dell’aereo e mi trovai sospinta dagli altri passeggeri verso il mio destino. Salimmo le scale con passo rassegnato e prendemmo posto a metà circa della fusoliera. Dietro di noi si sedette il passeggero con cui avevamo parlato sul pulmino poco prima. «Signore, visto che faremo il viaggio insieme, mi presento. Sono Walter e questo è il mio amico Lorenzo, collega e coinquilino in Romania» ci disse porgendoci la mano, mentre ci presentava l'uomo che viaggiava con lui. “In fondo sembra alquanto rilassato” pensai, mentre gli stringevo la mano e gli presentavo Franca che, essendo un po’ timida, stentava a parlare con gli estranei. «Voi prendete spesso questo volo?» gli chiesi per farmi un po’ di coraggio. «Certo, una volta al mese circa. Immagino che per voi sia la prima volta, o sbaglio?» «Non sbagli. Scusa se ti do del tu, mi viene molto più naturale. Non ti dispiace, vero?» «Assolutamente no! Te lo volevo dire io. Allora Silvia e Franca, cosa andate a fare di bello a Bakau?» «Di bello proprio niente! Andiamo per conto della nostra ditta. Lavoriamo in un’azienda di abbigliamento di Verona e a Bakau c’è un laboratorio che ci sta preparando una commessa molto importante.
Domani arriverà anche il tecnico addetto al controllo qualità del cliente e noi ci dobbiamo assicurare che non ci siano problemi. Voi, invece, di cosa vi occupate?» «Noi lavoriamo per un’azienda di calzature. Siamo fissi in Romania, io sono un tecnico che si occupa della produzione nei laboratori satelliti e Lorenzo è il direttore di produzione. Anche noi siamo di Verona.» «Che combinazione! E vivete in Romania?» chiesi, cominciando a trovare interessante la conversazione che era un buon diversivo per non pensare al decollo ormai imminente. Almeno così sarei morta chiacchierando e non mi sarei accorta di niente. «Sì, la nostra azienda ha comprato un appartamento per i dipendenti e noi viviamo lì. Così ci facciamo compagnia. Torniamo a casa in Italia una volta al mese per qualche giorno e poi, valigia in mano e via. Voi fino a quando vi fermate?» «Per tutta la settimana, ripartiamo venerdì mattina presto. Siamo all’hotel Moldova. Lo conoscete?» Uno sguardo complice passò tra Walter e Lorenzo. La cosa non mi piacque per niente, allora dissi ridendo, per sdrammatizzare: «Perché quello sguardo? Cosa c’è che non va in quell’albergo? È brutto, sporco e cattivo?» Stavolta fu Lorenzo a prendere la parola: «Niente, è il migliore albergo della città, state tranquille. Ci vanno le persone con i soldi. Vi troverete bene.» La hostess mi richiamò per farmi allacciare la cintura in vista del decollo e dovetti quindi rimettermi a posto sul mio sedile. Uno sguardo a Franca mi bastò per farmi tornare ai miei timori di poco prima. Il suo viso, già pallido di natura, era diventato quasi verdastro. Il trucco che si era fatta con cura al mattino era ormai sciolto dal sudore che aveva continuato ad asciugarsi con il fazzoletto fino a due secondi prima. Ora le sue mani stringevano forte i braccioli, mentre il pilota faceva rombare i motori. Inoltre, la sua timidezza abituale si era trasformata in un mutismo completo.
Era la prima volta che volavo con lei e non mi ero chiesta se avesse paura. Ora lo sapevo. Anch’io avevo una fifa blu. Non mi bastava più la chiacchierata di poco prima con Walter e Lorenzo. Adesso mi vedevo mentre precipitavamo in mezzo a qualche lontana regione sperduta della Romania. La piccola Elisa non avrebbe mai avuto una tomba su cui piangere la mamma. E poi non mi avrebbero neanche portato dei fiori al funerale. “Certo che finire a frittata a trent’anni non ci tengo proprio. Grazie” pensavo io, Silvia, detta la tragica, mentre l'aereo si levava in volo. Per vincere la paura tentai un dialogo con Franca. Tempo perso. Si era aggrappata con entrambe le mani e tra un po’ avrebbe staccato dal pavimento il sedile davanti a sé. Già il mio tavolino, ancorato allo schienale davanti, non rimaneva bloccato e dovevo tenerlo su con la mano. Se anche il suo fosse stato nelle stesse condizioni, sarebbe bastato un attimo perché le cadesse in grembo. Il decollo fu, tutto sommato, abbastanza buono e, giunti in quota, riprovai a conversare con la mia collega. Stavolta i risultati furono più soddisfacenti. Un po’ di colore era tornato sulle sue guance e la voce sembrava quasi normale. «Silvia,» mi disse, «non te lo volevo dire, ma è la prima volta che volo e, dopo quello che hai detto sul pulmino, ho avuto un attacco di panico. Tu che sei già stata in aereo, credi davvero che questo sia pericoloso?» «Ma va là! Stavo solo scherzando! E poi i signori qua dietro prendono sempre questo volo e, come vedi, godono di ottima salute.» Per averne conferma mi girai e osservai bene, ora che la paura era un po’ passata, i nostri nuovi conoscenti. Walter si era assopito. Con la testa piena di capelli ricci e spettinati appoggiata al sedile, il viso lungo e magro che adesso era rilassato e la bocca un po’ aperta, appariva un po’ più giovane dei quarantacinque anni che gli avevo dato all’inizio. Lorenzo era sveglio e sembrava assorto nei suoi pensieri.
Era una trentina di chili in vantaggio rispetto al suo amico e la barba e i pochi capelli mi davano l’idea che avesse all’incirca la sua stessa età. Quando vide che mi ero girata, mi sorrise e, con una spinta poco delicata, riportò Walter tra noi. «Bel addormentato svegliati! Le signore ti stanno guardando, non farti vedere mentre sbavi nel sonno come un vecchio che ha perso la dentiera.» «Accidenti! Silvia, scusami, sai. È colpa di questo noioso vicino se mi sono assopito. Se fossi seduto vicino a te, non sarebbe successo» disse sbadigliando, mentre si rimetteva a posto i capelli e si raddrizzava sul sedile. Anche Franca si era girata a guardarli e Lorenzo cominciò a chiacchierare con lei. La osservai e, per la prima volta da quando l’avevo conosciuta, mi resi conto che di lei sapevo molto poco. Ascoltandola, mentre rispondeva con timore alle domande di Lorenzo, seppi che era single, abitava con sua madre vicino al fratello separato e, quando veniva in visita dal padre, si occupava del nipotino. Lavorava con me da due mesi; di lei sapevo solo che aveva appena passato i quaranta, che era stata sposata per poco tempo, tanti anni fa. Mi ero fatta l’idea che dietro la sua timidezza si nascondesse la voglia disperata di trovarsi un compagno. Mi stava accompagnando in questa avventura perché si occupava del controllo qualità in Italia ed era il primo viaggio di quella che, si supponeva, sarebbe stata una lunga serie. Io, invece, mi ero offerta di venire, pur non essendo un lavoro di mia competenza, per due motivi.
Primo, ero la modellista che si occupava di questo cliente americano importante e, in caso di contestazioni, conoscevo a menadito tutto quanto era stato fatto per ottenere l’approvazione finale a procedere con la produzione; inoltre, dovevo stare attenta che non richiedesse lavorazioni non comprese nel prezzo concordato. Secondo, ma non meno importante, morivo letteralmente dalla voglia di vedere una delle leggendarie fabbriche rumene, dove le maggiori aziende italiane facevano confezionare i loro capi di vestiario. E poi, diciamolo, mi è sempre piaciuto viaggiare! Se lo facevo a spese altrui, ancor meglio. No? Mentre ascoltavo Franca che raccontava della sua vita facendosi via via più sicura di sé, mi chiesi come fosse possibile dover conoscere una collega ascoltandola mentre parlava con un estraneo. Nel lavoro eravamo sempre così prese che la conoscenza tra le persone rimaneva spesso superficiale. All’improvviso sentii la voce di Walter che mi diceva: «Bakau chiama Verona, Bakau chiama Verona, rispondete prego!» «Oddio, scusami, mi ero distratta. Cosa stavi dicendo?» «Ti ho chiesto se stasera volete venire a cena con noi.» Il mio sguardo interrogativo gli fece aggiungere in fretta: «Naturalmente solo in amicizia.» Già, mi venne voglia di dirgli: “Ci mancherebbe altro. Come andare all'Oktoberfest e portarsi la birra da casa.” Chiesi a Franca se a lei stava bene uscire con loro. Il suo sguardo terrorizzato mi fece capire che non se la sentiva, tuttavia non volevo dispiacere ai nostri nuovi amici, perciò dissi rivolta a Walter: «Ok, per che ora potete venire a prenderci?» Pensavo fosse il caso che la tipa si sbloccasse e poi non avevo voglia di rimanere tappata in albergo tutta la sera. Un po’ di compagnia non ci avrebbe fatto male.
Erano nostri concittadini, conoscevano bene il paese e chi, meglio di loro, avrebbe potuto darci qualche dritta su come funzionavano le cose da quelle parti? Ci accordammo per le sette e mezza. Saremmo andati in un locale vicino al nostro albergo dove il cuoco aveva lavorato per anni in Italia e faceva addirittura la pizza. Sconsigliato prenderla però, andava bene solo per i locali, come ci avvertirono i nostri amici. L’atterraggio all’aeroporto fu preceduto da un quarto d’ora circa di giri continui, di cui ci chiedevamo tutti il motivo. Nessuno lo capì, neppure coloro che erano abituati alle stranezze dei paesi dell’Est. L’aereo continuava a volare in tondo sulle campagne rumene e io fui ben felice di non aver accettato lo spuntino offerto dalla hostess: una grossa pasta alla crema dal colore giallo intenso, alquanto sospetto. Quando ormai si era sparsa la voce che c’erano problemi con il carrello e la gente cominciava ad agitarsi, finalmente iniziammo a scendere. Una volta atterrati, tirai un bel sospiro. Per il momento la mia Elisa non era orfana e il mio buon nome era salvo!
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DONNE DA VIAGGIO di Silvana Adami - Edizioni W L M
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Caro Lettore, arrivederci al prossimo appuntamento letterario.