BIOGRAFIA AUTRICE
Caterina Silvia Fiore nasce a Milano, dove vive e lavora presso una grande azienda di servizi durante il giorno. I suoi scritti sono il frutto delle notti nebbiose tipiche della Val Padana.
Nasce come poetessa, alcune sue liriche sono risultate vincitrici in alcuni concorsi e pubblicate in riviste d’arte e cultura. Nel 2012 decide di prendersi sul serio e di smetterla di tenere chiusi nel cassetto alcuni suoi manoscritti.
PRESENTAZIONE
Da “IL VIAGGIO IN ANDALUSIA”
I movimenti lenti
Il nero compatto dei tuoi fili
Con gesti aggraziati e suadenti
Danzi tra i tanti profili
Da ogni tua bocca poi sgorga l’invito
L’oggetto delle tue attenzioni ormai è segnato
Lo guidi per mano nel tuo tempo morto
Il sipario si chiude ma il tragitto è corto
Dietro il tendone i danzatori sono fermi
La messinscena è finita, resta un grido:
“Ai vermi! Ai vermi!”
(Caterina Silvia Fiore)
* * *
INCUBATOIO
LA CORRIERA
Una nebbia pesante come acciaio divideva quel luogo dal resto del mondo. La corriera arrivava puntuale tutte le sere, già carica per metà di passeggeri, apriva le sue porte per far salire i profili che s’intravvedevano a fatica dentro quella solida massa grigia. Vi era qualcuno alla guida del mezzo, separato dal resto dell’abitacolo, nessuno riusciva a vederlo bene ma si sapeva che c’era, lì sul sedile di guida, si intuiva il berretto con la visiera, le lunghe gambe che puntavano ai pedali, il suo saluto a chi saliva era un semplice reclinare verso il basso la testa, soffermandosi per qualche secondo col capo chino, come se sentisse tutto il peso del suo lavoro. Il percorso era sempre lungo, guardare fuori attraverso i finestrini era come vedersi allo specchio, il fuori non esisteva, era uguale al dentro, chilometri e chilometri, ogni fine giornata, regolare come un orologio svizzero arrivava la corriera, apriva le porte, faceva salire, chiudeva le porte, ripartiva.
Ogni tanto qualche luce proveniente da chissà dove riusciva, con la sua forza, a squarciare quel muro di nebbia e allora si potevano ancora intravedere i tralicci con il filo spinato in cima, si alternavano a filari di uva e poiché la nebbia non permetteva di vedere molto, i tralicci si confondevano con i filari, creando un connubio alquanto bizzarro tra la vita e la morte. Diverse volte si poteva udire la voce di qualche passeggero che faceva domande, nel tentativo di scoprire il passato ed il presente del proprio compagno di viaggio. Il futuro lo si sapeva. Ognuno di loro sapeva. O per lo meno intuiva, man mano che le ore passavano. Nella loro mente, nella mente di ogni passeggero, si formava un dubbio: avrò preso la corriera giusta? Poi ognuno di loro cercava di comprendere, con una certa ingenuità iniziale, facendo magari qualche domanda al vicino, scusi ma lei dove scende, ma questa linea va a… no perché ho notato che non scende mai nessuno, ma ci sarà pure un capolinea, lei lo sa? Tutto questo si ripeteva ogni sera, la corriera che arrivava, i passeggeri che salivano, e la domanda che poco dopo si insinuava dentro di loro, se per caso non avessero preso il mezzo sbagliato.
L’UOMO DEL FILE
In questo momento seduto sul sedile del passeggero c’è un uomo sui quarant’anni, lo sguardo perso nel nulla, sereno agli occhi degli altri ma dentro di lui una condizione infernale, preda di uno stato di aridità spirituale che lo sconvolge. Riflette, quest’uomo, su quanto era accaduto in ufficio diverse ore prima. Stava lavorando da mesi ad uno studio sulle potenzialità produttive di una miniera dismessa nel sud della regione, una ricerca importante, lui lo sapeva bene. Come sempre aveva messo a parte dei suoi progetti Fortunato, l’amico d’infanzia, confidandogli che, se gli studi fatti fossero stati approvati dalla commissione lui sarebbe passato di grado, avrebbe potuto sposare Eleonora, comprare casa, realizzare i suoi sogni insomma. Alza lo sguardo, l’uomo, nel tentativo di scorgere qualcosa lì fuori, cercando di capire il motivo che lo aveva spinto a fare quell’atto inenarrabile. Fortunato e lui erano cresciuti insieme, avevano condiviso tutto come fratelli,solo uno dei due risultava essere sempre quello vincente. Fortunato era arrivato a sviluppare un talento nel raggirare il prossimo, lui compreso, che non aveva eguali. Con l’astuzia e l’inganno Fortunato gli aveva portato via il suo primo amore, Gabriella, le vittorie nelle gare di pallavolo, i posti di lavoro e per ultimo l’affetto dei suoi genitori, i quali gli ripetevano continuamente come sarebbe stato bello avere un figlio come Fortunato.
Il tutto con l’indifferenza più totale dell’amico, al punto da non sapere più se fosse solo una paranoia la sua, oppure la realtà dei fatti a farlo stare così male. Sino a quando, un bel giorno, l’uomo ricevette la tanto attesa notizia che il suo colloquio di lavoro era andato bene ed era stato assunto da un' importante multinazionale che si occupava di piattaforme petrolifere. Dopo pochi mesi eccolo lì, Fortunato, a sconvolgergli la vita anche sul posto di lavoro. Tramite una forte raccomandazione l’amico era riuscito ad essere assunto anche lui e, una volta dentro, aveva fatto in modo di farlo diventare lo zimbello di tutti i colleghi, raccontando gli episodi più umilianti della sua adolescenza, il tutto per scatenare l’ilarità in coloro che lo stavano ad ascoltare, mettendosi come sempre al centro dell’attenzione ma si sa, il carisma di Fortunato era qualcosa di inarrivabile, per lui. Inconsapevole degli smottamenti violenti che avvenivano dentro di lui, freddo per l’umiliazione che gli procurava, Fortunato aveva creato una continuità nella dinamica del loro rapporto anche dentro il posto di lavoro. Era sempre stato così. Fortunato aveva guadagnato punti e aveva brillato grazie alla sua capacità di metterlo in ridicolo in ogni situazione e sempre nei momenti più importanti della sua vita. L’uomo del file si era chiesto spesso perché, pur essendo consapevole dell’ambiguità e del doppio gioco dell’amico, avesse continuato per anni come un idiota, a confidargli i suoi più intimi segreti.
Non era mai riuscito a darsi una risposta. Quella mattina Fortunato era stato chiamato dalla madre, una telefonata concitata e carica di disperazione, il padre aveva avuto un infarto ed era in rianimazione. Per la fretta di raggiungere l’ospedale l’uomo si era dimenticato di spegnere il computer sulla sua scrivania. Fatale fu questa dimenticanza, ma non per Fortunato. Peccato, pensa l’uomo del file, peccato per quella collega impicciona. La donna era entrata proprio nel momento in cui lui stava cancellando tutto il file del suo lavoro dal computer dell’amico il quale, per l’ennesima volta, gli aveva rubato frammenti della sua vita, compresa la ricerca. L’uomo si era accorto del computer acceso sulla scrivania dell’amico ed era entrato nella stanza per spegnerlo e voilà, la sorpresa. Non fosse stata la più pettegola e curiosa del gruppo di lavoro, la collega sarebbe stata ancora viva e lui non avrebbe avuto quelle lacerazioni dentro al petto che lo facevano urlare in silenzio. Incuriosita la donna si era avvicinata alla scrivania, voleva capire cosa lui ci facesse seduto al posto del collega. Proprio in quel momento lui le aveva chiesto di avvicinare il viso al video per controllare un numero, l’aveva poi abbracciata da dietro, gli occhi della donna spalancati ed un sorrisetto sulla bocca per quella che inizialmente, aveva scambiato per un’avance sorprendevolmente gradita.
Lui le aveva posato la mano sulla bocca per non farla gridare o almeno era questo, l’intento iniziale. Non durò molto. La donna aveva smesso di respirare dopo appena un minuto, evidentemente aveva già qualche problemino di salute. Dopo essersi sincerato di non avere lasciato alcuna traccia di sè sul corpo della vittima, aveva spento il computer. Ormai il lavoro era stato portato a termine e un attimo dopo si era adoperato per chiamare l’ambulanza, sul volto stampata una preoccupazione che gli era estranea. Ancora frastornato dagli avvenimenti, guardando attraverso quella coltre di nebbia claustrofobica, è combattuto tra la soddisfazione per ciò che aveva fatto e il desiderio di riavvolgere la bobina. Improvvisamente la corriera si mette a vibrare e sussultare, un treno velocemente passa in senso contrario e la corrente d’aria investe il mezzo, facendolo paurosamente sbandare. Il guidatore frena immediatamente, tutti i passeggeri cercano di riprendere fiato, l’uomo del file rabbrividisce, ma non di freddo, no. La corriera riprende il suo tragitto, cambia direzione, questa volta sembra addentrarsi in una foresta, la nebbia lascia solo intuire. Nessuno degli occupanti il mezzo abbassa lo sguardo per vedere l’ora, il tempo sembra non avere più alcuna importanza.
LARIUS
Una ragazza bruna, il cui naso aquilino è schiacciato contro il vetro nel tentativo di scorgere qualcosa, le mani tenute strette l’una contro l’altra sino a diventare paonazze nel tentativo di far cessare il tremolio delle braccia, ricorda il mattino di quel giorno strano. La giornata non andava, la sua mente non andava, lo aveva capito appena sveglia. La madre aveva attaccato con la solita litania, cosa farai oggi, come al solito starai per strada a fare un cazzo invece di trovarti un lavoro decente e non pesare più su di me, sei una figlia disgraziata, ma cosa ti ho messa al mondo a fare. Rimasta nuovamente sola nella sua stanza, i suoi pensieri erano tornati ossessivamente a lui. Quel maledetto non la finiva di stare attaccato alla madre come una sanguisuga, la quale si beava di lui come fosse l’essere che le aveva donato la vita. All’inizio, ora che ci rifletteva meglio, anche lei lo aveva accolto bene, magari con un po’ di diffidenza, ma d’altronde da lei non ci si poteva aspettare accoglienza diversa, portatrice insana degli affetti devastanti di un padre indegno di indossare tale nome. Era rimasta affascinata dal suo sguardo, le trasmetteva una tristezza infinita, mista ad incredulità, ecco, sembrava stesse sempre chiedendo qualcosa, sempre con quell’aria triste e interrogativa che non andava mai via, cosi che la gente che lo incrociava per strada, pensava a chissà quali e quanti momenti infelici potessero aver costellato il suo passato.
Poi un giorno aveva sorpreso la madre mentre lo accarezzava, gli occhi pieni di passione, lui che le sbavava addosso, il suo corpo massiccio ed ingombrante. C’era qualcosa, in quelle carezze, di ambiguo. Qualcosa che la faceva star male. Lei sentiva così e nulla fu come prima. Larius, così si chiamava, si impossessò in breve tempo della vita di sua madre e della sua. Mai angelo o demone fu così ombra protettrice del proprio pupillo, così come Larius lo era nei confronti della madre. E lei ingoiava. Ogni giorno, sempre di più, era invasa da una colata di ferro a duemila gradi che le fondeva fegato, cuore, polmoni e questa colata aveva solo un nome: gelosia. Sprofondata in una cupa bolla di pensieri che le squassavano la mente, la ragazza era andata in cucina e aveva preso un coltellino, uno di quelli con cui si affetta il formaggio duro, corto e con il manico in legno. Non si era presa nemmeno il disturbo di pulire la lama dai residui incrostati di cibo, si era voltata ed era andata a cercare la madre, trovandola che stendeva sulla terrazza. In quel mentre ecco lo strombazzare acuto di un clacson, la ragazza sobbalza vedendosi venire addosso la fiancata di un carrozzone. Dal finestrino un baluginìo di verde smeraldo, rosso e pendagli dorati, persino l’odore dolciastro delle frittelle arrivano alle sue narici.
Le grida di alcuni guitti di un circo, non si capisce se divertiti oppure spaventati per il pericolo di uno scontro con la corriera, fatto sta che rivolgono alla donna un saluto con la mano e poi dei gesti strani, un pochino volgari, nella sua direzione. Il vociferare distrae per qualche secondo la mente della donna la quale osserva gli occupanti dell’altro mezzo, poi unisce l’indice e il medio e accenna a sua volta un debole saluto, infine ritorna assente e chiusa nei propri ricordi. Difficile non ricollegare la vista improvvisa del rosso all’azione agghiacciante di quella mattina, lì, su quella terrazza. La madre aveva le mani rosse e gonfie per il freddo e per il lavoro continuo, sempre immerse nell’acqua gelida, deformate e con la pelle delle nocche spaccata e sanguinante, i denti rotti le facevano male e le gengive le bruciavano, non c’erano soldi per curarsi e lei soffriva così, giorno dopo giorno, riversando sulla figlia tutto il suo rancore da quando il marito se ne era andato da casa e su Larius invece tutto il suo amore.
Senza pronunciare parola, in quella grigia giornata sbagliata, la giovane donna si era avvicinata alla madre, le si era messa di fronte e aveva cominciato a pugnalarla colpendola agli occhi ripetutamente, con una violenza e una rabbia inaudite. Quando finalmente l’anziana donna era caduta in terra, le mani ancora sugli occhi nel tentativo di proteggerli, il nome della figlia ripetuto all’infinito, la ragazza aveva buttato accanto al suo corpo il piccolo coltello, voltato la schiena e aperta la porta di casa, con la stessa automatica freddezza con cui aveva cominciato quell’atto. Ripensa, la ragazza, ed è ancora assorta in questi pensieri quando questi vengono interrotti da una voce stridula: “Insomma ora basta, ma dove ci sta portando!” tuona l’uomo dalla cicatrice vistosa, probabile conseguenza di un intervento di correzione di un labbro leporino.
* * *
INCUBATOIO di Caterina Silvia Fiore - Editrice Viola -
BIBLIOGRAFIA AUTRICE Nel 2013: Vincitrice del concorso nazionale di poesia “Progetto Babele” con la poesia “La strega”, pubblicata nell’antologia “La Città”. Vincitrice del concorso nazionale di letteratura italiana LCE – Laura Capone Editore con il racconto “Il Sugo”, pubblicato nell’antologia di racconti. Finalista al concorso nazionale di narrativa “Le Fenici” indetto dalla Montag Edizioni, con l’opera intitolata “I monti rovesciati”. Finalista al concorso nazionale di poesia “La Rocca Scaligera” Premio Sirmione Lugana”, con pubblicazione nell’Antologia relativa. Nel 2014: Vincitrice concorso “500 Poeti Dispersi” indetto da “Lettera Scarlatta Edizioni” con pubblicazione all’interno dell’antologia. Finalista al Concorso Letterario Nazionale Cinquantesimo - Marcelli Editore, con il romanzo intitolato “INCUBATOIO”. Vincitrice del concorso “Scrivendo Racconto” indetto da Historica Edizioni con il racconto “Il richiamo” pubblicato in un antologia, presente nelle librerie.
Caro Lettore, arrivederci al prossimo appuntamento letterario.