Caro Lettore,
iniziamo questo viaggio nel misterioso mondo dell'ipnosi regressiva.
Chi si rivolge ad uno psicoterapeuta?
Chi vive di paure, fobie, attacchi di panico, incubi ricorrenti che affliggono e non permettono di vivere una vita serena.
Ritornando indietro nel passato, puoi ricordare eventi traumatici, vissuti durante l'infanzia, rimossi dalla tua mente, dimenticati perchè dolorosi.
Lo stato ipnotico ti riporta indietro in un lontano passato ricordando vite precedenti, sperimentando straordinarie vicende spirituali e di guarigione.
Trovare l'anima gemella, ricevere messaggi da persone care trapassate.
Si accede a una saggezza e a una conoscenza profonda, o si arriva a fare un'esperienza di qualche evento mistico straordinario.
Il Dott. Andrea Napolitano in questo libro, ci racconta il lungo viaggio di una sua paziente, definita un novello Ulisse al femminile.
Buona lettura.
La storia di Odissea
Conobbi Odissea quando avevo cominciato già da diverso tempo ad approfondire le potenzialità terapeutiche dell’ipnosi regressiva.
Avevo sperimentato prima su me stesso un percorso di guarigione quanto meno singolare, se non apertamente straordinario, e avevo poi iniziato ad applicare questo metodo anche sui pazienti che ne facevano richiesta, riscontrando ottimi risultati.
Odissea sembrava molto incuriosita dalla possibilità di esplorare le proprie vite precedenti: la conobbi proprio in occasione di un corso di visualizzazione regressiva di gruppo, che sono solito tenere per avvicinare alle tematiche della regressione e della reincarnazione le persone che ne sono attratte, ma che sono ancora troppo timorose o titubanti per chiedere una seduta individuale.
Odissea, oltretutto, era mortificata, o francamente infastidita, dal fatto che negli incontri di gruppo non fosse mai riuscita ad accedere a visualizzazioni soddisfacenti.
Eppure i problemi da risolvere non le mancavano: più parlavo con lei, più mi rendevo conto che non era semplice curiosità quella che la spingeva a chiedere di poter ricordare le proprie vite anteriori; era piuttosto il sincero desiderio, o addirittura il pressante bisogno, di risolvere delle problematiche che forse non osava ammettere neppure a se stessa.
Odissea si presentava come una donna di una cinquantina d’anni, sposata e apparentemente realizzata nella vita, sia dal punto di vista affettivo che professionale, capace di coniugare una pragmatica concretezza con un vibrante anelito spirituale.
Apparentemente, quindi, non c’erano particolari disagi nella sua vita. Eppure avvertivo un malessere serpeggiante dietro la scusa, quasi banale, che mi portava come per giustificare la sua richiesta di regressione: mi parlava, infatti, dell’emergere di una confusa difficoltà relazionale che avrebbe provato nei confronti del marito.
Analizzando la storia pregressa di Odissea, tuttavia, mi sembrava che il presente delle sue vicissitudini affettive fosse molto più roseo rispetto al passato.
La donna era infatti arrivata al matrimonio in età non giovanissima, dopo una serie tutt’altro che felice di traversie sentimentali, fra le quali poteva tristemente annoverare una lunga serie di tradimenti subiti, di relazioni intraprese con uomini che si rivelavano essere già impegnati, di amori giovanili terminati drammaticamente.
Il matrimonio con Giulio, avvenuto dopo un lungo periodo di tentennamenti, sembrava invece aver portato, pur con i normali alti e bassi della vita coniugale, una serenità prima sconosciuta nella vita di Odissea, una serenità che non si era mai trasformata in autentica gioia forse solo per il mancato coronamento della vita di coppia in vita genitoriale: Odissea non aveva mai avuto la felicità di diventare madre, e attribuiva parte della causa del suo disagio di coppia proprio a questo motivo, nonché al timore di restare incinta ad un’età non più verdissima: “ho 50 anni – mi confidava mestamente – e un bambino ha bisogno di una mamma, non di una nonna”.
Eppure le occasioni per diventare mamma non le erano mancate: per ben quattro volte Odissea era rimasta incinta, nel corso degli anni, ma tutte le gravidanze si erano tristemente concluse con degli aborti spontanei.
Questo sicuramente era un dato quanto meno insolito, che meritava di essere approfondito proprio con l’ipnosi regressiva. Ma c’erano dei drammatici antecedenti anche nell’esistenza attuale: infatti, già nella giovinezza della vita presente, Odissea aveva dovuto affrontare un aborto. Stavolta si era trattato di un’interruzione “volontaria” di gravidanza, un’interruzione a cui, in realtà, era stata costretta.
Odissea, all’epoca, viveva in un piccolo paese delle campagne dell’Italia settentrionale, e, a 19 anni, stava iniziando a conoscere le gioie dell’amore.
Non era un’esperienza facile per la ragazza di allora, visto che il padre, un uomo burbero, possessivo, manipolatore, le impediva di fatto ogni uscita: “mio papà non voleva che frequentassi persone dell’altro sesso: le ragazze che si vedevano con gli uomini erano considerate da lui praticamente alla stregua di prostitute”.
Ma all’amore, si sa, non si comanda, e nemmeno i divieti paterni possono arginare la forza dei sentimenti. Odissea ebbe così il suo primo ragazzo, Roberto, un giovane che lei adorava, e con il quale sperimentò per la prima volta anche la potenziale gioia dell’unione fisica; ma quella che avrebbe potuto essere una delle esperienze più felici e coinvolgenti della vita di Odissea si tramutò repentinamente in dramma.
La giovane restò infatti immediatamente incinta e Roberto, saputo dello stato interessante della sua ragazza, non esitò un attimo ad attuare uno dei comportamenti più nefandi che un uomo possa compiere nei confronti della propria “amata”: la abbandonò, scrollandosi semplicemente dalle spalle tutte le sacrosante responsabilità a cui la paternità l’avrebbe chiamato.
Odissea viveva in un tempo e in una cultura contadina, bigotta, dove non c’era nemmeno lo spazio mentale per immaginare analisi genetiche per determinare scientificamente la paternità del nascituro: “il paesino dove vivevo era minuscolo – si lamentava la donna – e tutti avrebbero parlato male di me, accusandomi di essere una poco di buono”.
Naturalmente questa era una situazione che il padre della 19enne Odissea non poteva tollerare: dimostrandosi una volta di più un padre-padrone, la costrinse all’aborto. Obbligò la giovane figlia non solo a perdere il bambino, ma implicitamente, a portarla a realizzare la profezia genitoriale più volte vaticinata dall’uomo che, quasi a lanciare un macabro anatema, ripeteva come un mantra ossessivo che “le ragazze che escono con gli uomini sono tutte puttane”.
Il padre continuò a tentare di manipolare Odissea e di dirigerne la vita fino a quando non incontrò la morte, che lo colse quando la figlia aveva da poco compiuto 25 anni; nemmeno un anno dopo, Odissea, finalmente libera, lasciò la casa genitoriale e andò a vivere da sola, stavolta sconfiggendo le dicerie di paese che ritenevano perlomeno poco opportuna una simile scelta di vita da parte di una giovane non sposata e nemmeno fidanzata.
Caro Lettore,
arrivederci al prossimo appuntamento, dove in punta di piedi entreremo nel passato di Odissea.