La sposa nordafricana
La rabbia covata da Odissea nei confronti del padre era evidente e, naturalmente, comprensibile.
Quell’uomo le aveva condizionato la vita, spingendola verso scelte penose che lei, se avesse potuto decidere autonomamente, non avrebbe mai compiuto.
Non solo: si poteva pensare che Odissea, oltre a nutrire rancore verso il padre, condannasse anche se stessa, per non essere stata abbastanza forte da resistere alla volontà paterna; quella di Odissea nei propri confronti era una condanna sottile ma maledettamente efficace, come forse i successivi quattro aborti spontanei potevano testimoniare: era possibile che, dopo la prima interruzione di gravidanza, la donna pensasse di non poter più essere una madre degna di tale nome e di tale ruolo?
Era un argomento che meritava di essere approfondito tramite l’ipnosi regressiva, così come quello relativo all’ambiguo legame con quel padre-padrone che tanto aveva influito sull’esistenza di Odissea.
Nel giorno prefissato per la prima seduta, la donna si sdraiò sul lettino ancora titubante: temeva che la sua presunta incapacità di visualizzare, emersa durante gli incontri di gruppo, esprimesse una preclusione del suo inconscio ad accedere a passati troppo antichi e, forse, traumatici.
Invece, già durante la prima regressione, si lasciò andare velocemente a un profondo rilassamento, entrando in uno stato di trance medio, nel quale improvvisamente miriadi di immagini, inaspettatamente apparse dal nulla, cominciarono a proiettarsi sullo schermo dei suoi occhi chiusi.
“Sono in piedi - cominciò a raccontare – e calzo dei sandali, forse di cuoio”. “Solleva lo sguardo – la incoraggiai – e cerca di osservare il resto del tuo abbigliamento”.
“Sono vestita poveramente”, rispose senza esitazione. Aveva detto di essere in piedi.
La invitai a osservare dove poggiassero i suoi sandali.
“È un pavimento di legno, ma è qualcosa in movimento… sono a bordo di una nave, mi stanno portando via”.
Le domandai dove fosse diretta la nave e la replica fu immediata:
“Stiamo andando verso un paese sulla costa del nord Africa… ma perché sono vestita così poveramente? Io sono nobile, so di essere una patrizia”.
Le suggerii di guardarsi intorno. Dopo un breve istante in cui ampliò il raggio della sua osservazione interiore, Odissea riprese:
“C’è un soldato, vicino a me, veste un’uniforme che sembra appartenere all’epoca romana… Sì, è un ufficiale dell’esercito romano, e io sono una nobile romana. Ma perché mi stanno portando via, in questa nave? Perché sento di essere infelice?”.
Le chiesi di avanzare nel tempo, fino ad un accadimento successivo che avrebbe forse potuto dare risposta ai suoi interrogativi.
“Siamo sbarcati, siamo in Africa… Ora mi trovo in un paese dalle case bianche. Vicino a me c’è sempre il soldato di prima, sento che la sua presenza mi infonde sicurezza. Ci addentriamo in questo paese, ma è apparentemente deserto. Non vedo nessuno, ormai è sera, non sappiamo dove dormire…”.
“Vai avanti”, la spronai.
“Siamo stati costretti ad allontanarci un po’ dalla cittadina; essa sorge ai piedi di un colle roccioso, al quale ora ci stiamo avvicinando… dobbiamo adattarci a dormire in un anfratto fra le rocce. Sono disperata, ma sono talmente stanca che mi addormento subito”.
Chiesi a Odissea di avanzare con i ricordi di qualche giorno.
“Sono sempre nello stesso villaggio, e ora gioco con dei bambini. Non capisco la loro lingua, ma con i bambini è facile intendersi, mi sento molto più serena. Ho stretto anche amicizia con alcune donne del paese, e una di loro mi ospita; non capisco quello che mi dice, ma è molto gentile con me. Però non vedo uomini in giro. Ne chiedo il motivo alla signora presso la quale abito, e mi sembra di capire che siano tutti in guerra. Anche la sera in cui siamo arrivati, nel paese c’erano solo donne, e si erano barricate in casa per paura. Non si aspettavano il nostro arrivo”.
“Passerai molto tempo in questo villaggio?”, le domandai, esortandola ad avanzare nel tempo.
La scena che apparve a Odissea fu completamente diversa dalle precedenti:
“Finalmente sono vestita nobilmente, porto abiti adatti al mio ruolo sociale”. Lo diceva senza alcuna presunzione, ma con il semplice riconoscimento di essersi ritrovata in una situazione che le era più consona. “Mi trovo in un palazzo bellissimo”, continuò; “Credo che siano passati un paio d’anni; ora mi trovo in una lussuosa abitazione romana, fatta erigere molto vicino al paese in cui eravamo inizialmente sbarcati.
Il vestito povero che allora indossavo era solo un travestimento.
Era necessario che mi vestissi così, e anche che venissi scortata dai soldati, perché il paese nordafricano verso cui mi stavo dirigendo è una colonia romana ed era attraversata da disordini interni: era in atto una guerra fra Roma e una vicina colonia insorta contro i romani stessi, e anche la regione verso cui stavo andando era parzialmente coinvolta nel conflitto.
Ora però l’esercito romano ha ripreso il pieno controllo sia della colonia ribelle, sia del paese dove avevo trovato rifugio, e finalmente posso tornare a vivere come si addice al mio rango nobiliare”. Odissea si dilungò in minuziose descrizioni del suo nuovo, magnifico palazzo, al cui interno c'era...
Caro Lettore,
Odissea, adesso si trova in questo magnifico palazzo. Cosa troverà al suo interno?
In quante altre vite scoprirà di aver vissuto?
Riuscirà a dipingere il suo mondo nei colori da lei preferiti o rimarrà nel grigiore e nella tristezza in cui ora è avvolta?
La sua anima riuscirà a risanarsi?
"Odissea fra le vite" di Andrea Napolitano Editrice IL Torchio
Indirizzo mail: andrea.napo@live.it
Il Dott. Andrea Napolitano riceve anche a Milano.
Arrivederci al prossimo appuntamento letterario.