“Proprio questo è strano, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi.
Ora, noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta.”(Gv 9,1-38b).
Tutti siamo ciechi alla nascita, deve passare qualche tempo prima che i nostri occhi possano distinguere forme, volti e colori.
Così come abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a riconoscere i genitori, i fratelli e le sorelle, gli amici e i nemici.
Qualcuno che ci prenda per mano e ci sorregga nei primi passi, nei primi abbracci, nei primi tentativi di vita autonoma.
Troppo spesso, poi, ci dimentichiamo di chi ha avuto tanta pazienza e amore, quando pensiamo che la nostra strada sia già spianata e non valga più la pena di confidare in altri.
Così avviene anche per chi ritiene che non sia più tempo di affidarsi a Gesù, alla sua parola, al suo esempio, che sia inutile far parte di una chiesa stanca e monotona.
Potrei dire: il processo inverso del cieco nato.
Ma è un altro l’esempio che mi suggerisce questa bellissima pagina del Vangelo di Giovanni che con cronistica precisione ci racconta di un avvenimento tanto incredibile quanto miracoloso.
Un esempio che partendo dall’annuncio evangelico cambia la persona dall’interno.
Andiamo al Vangelo di Luca dove al capitolo 24, 13-35 leggiamo dei discepoli di Emmaus colpiti da un cambiamento profondo, da un nuovo orizzonte, un nuovo respiro.
Molte cose si potrebbero dire ma ne fissiamo alcune per mostrare il cambiamento che l’annuncio della Buona Novella produce nell’uomo: apertura degli occhi, ardore del cuore, desiderio di comunicare ad altri quanto accaduto.
Anche “l’inviato” alla piscina di Siloe viene coinvolto da questo ardore e invitato a raccontare la sua avventura con il profeta chiamato Gesù: “non lo conosco ma mi ha guarito.”
Suonano strane queste parole, perché mai uno che non conosco dovrebbe aiutarmi?
E soprattutto perché io dovrei aiutare qualcuno che non appartiene al mio stretto giro di amici, conoscenti o parenti?
Cosa non vedono i nostri occhi, quale sofisticata forma di cecità colpisce la nostra vista?
Se conoscessimo Colui che ci apre gli occhi alla gratuità, alla misericordia, all’Amore di Dio sentiremmo il vivo soffio della libertà che produce una trasformazione interiore che riempie di gioia.
Lo spirito consumistico e pragmatico del nostro tempo non è amico dei credenti e dei profeti.
Forse per questo si consolidano i sistemi di oppressione, si accende la miccia della guerra e gli ideali che sono riusciti a trasformare il mondo vengono nascosti nei bauli in soffitta, in attesa di tempi migliori.
Come ai tempi di Samuele, anche oggi le profezie sono rare.
E quando compare qualcuno con l’aspetto del profeta, si dà subito ordine alle guardie di turno di trasformarlo in eccentrico, sospetto, dissidente o estremista, perché non turbi eccessivamente l’ordine costituito.
L’offuscamento visivo prodotto dalla nostra intollerante capacità di liberarci dagli schemi di una realtà prettamente razionale, incapace di volare oltre le nuvole dell’abitudine per la paura di perdere e di perdersi, ci impone di riflettere su alcuni pericoli che fatichiamo a riconoscere: il pericolo di lasciarsi prendere dalla realtà e adeguarsi ad essa, il pericolo di fuggire dalla realtà, il pericolo di porci dinanzi alla realtà, e all’orizzonte esistenziale, dal punto di vista della ragione.
No, cercare e incontrare Dio non è perdersi, è trovarsi.
Non è fondersi ma sentirsi notato e riconosciuto.
Non è abbandonarsi, ma decidersi e mettersi in cammino.
Non è annullarsi, ma crescere per l’amore.