Qui un mio brano di quattordici anni fa. Uno dei tanti momenti di passaggio, con la relativa poesia che ne sgorga. Non sapevo quanti panorami per il mondo mi avrebbero aspettato. Dedicato a chi deve voltare pagina, sradicarsi, continuare il viaggio della vita... con dolore ma anche con gratitudine e con curiosità per il futuro. Questo brano lo avevo scritto lasciando una mansardina "bohemiene" in cui avevo vissuto grande amore, grandi amici, la letteratura e i miei primi anni di indipendenza da casa. Un luogo pieno di poesia e di energia buona, in cui riuscivo a godermi la luce del sole per quasi trenta minuti in più di chi risiedeva ai piani sottostanti. Un nido a cui accedevo con una chiave azzurra.
LA CHIAVE AZZURRA – (un addio)
Quando si esce per sempre da una casa che hai aperto con una chiave azzurra, bisognerebbe avere i capelli spettinati e una valigia sgualcita e un lungo cappotto di pelle scamosciato a sottolineare così distrattamente il logorio dei giorni e delle lune rotolate con lentezza sadica sulla terrazza.
Quando si esce per sempre dalla terrazza nivea cui accedevi con una chiave azzurra, bisognerebbe avere un impasto country per sdrammatizzare, Nirvana per implodere, Capossela per darsi un tono, Tchaikovsky a suonare il violino in mezzo alle foglie d’edera e spalmato sul muro bianco di cinta per abbracciarti forte, con tutto il perimetro delle cose non tue.
E’ proprio così, amici sapete, che quando si esce da un nido sul tetto che nessuno oltre te poteva schiudere con una chiave azzurra, ti vengono in mente i lineamenti di tua madre mentre senti i tuoi zigomi pronunciarsi forte contro la velocità del mondo, l’espressione di tua madre mentre viene sorpassata dalla statura di un uomo molto più alto di lei e tu senti il tuo al tuo fianco anche se non c’è più; e la rivedi così assolutamente sovrastata, e incurante/consenziente, immobile come in una foto, con un’espressione dolce/femminile/cosmica quasi ad assentire a una piccolezza che può persino avere del romantico-naïf. Un romantico che adesso, davanti allo schiaffo dell’ultima girata di chiavistello, davanti al bagliore lunare di un tetto ricurvo che mi scivola via, sembra quasi d’altri tempi…
Quando si esce dal panorama di cuscini, specchi, foglie, giornali, fiori di rafia e angeli che una chiave azzurra ti apriva sugli alberi della città , le tue mani potrebbero tremare e il tuo cuore giovane e stordito potrebbe non darti più garanzie di assennatezza. La tua gola può sentire l’aria in modo più gustoso e invadente per via della lama sottile, – o forse è solo un’infinitesimale carezza, – che segna adesso in modo più evidente la zona dove il piacere confina col dolore e il tragico col comico. C’è una colonna sonora di torte e riso e cannella che gli stipiti hanno assorbito, come le lenzuola, come la terra nei vasi. E c’è una luce che lo spettrogramma non saprebbe classificare, là dove il papiro piange e l’ombrellone aperto sotto le stelle ricorda sbiadite poesie di Pessoa.
Quando si esce per sempre dalla porta dalla chiave azzurra, dalle irregolarità del suo legno laccato reso fragile dalle troppe vite passate, bisognerebbe avere la testa leggera e le mani lisce e i polsi forti e le gambe piene di strade immaginarie. E ti potrebbe capitare di passare davanti alle briciole sparse e ai petali caduti nel lavello, al caffè rovesciato sul fornello vecchio stampo e vederci il dettaglio più bello del mondo. E nel realismo straziante dei particolari irriducibili a un’essenza, potresti improvvisare un ballo a piedi scalzi e non sentirti pazzo.
Amici miei, sapete, quando uscirete per l’ultima volta da una mansarda che si apriva con una chiave azzurra, non date confidenza al bacio dell’amica o dell’amante sull’ingresso. Sei solo con quel canto che risuona da altri tempi e dimensioni, e quelle figure sono solo fantasmi e i fantasmi non meritano più il vento dei tuoi chakra né il fuoco dei tuoi tuffi nella vita.
(Notte di maggio 2000, luna piena)