Penso che anche un albero possa sentirsi smarrito quando viene trapiantato altrove, dopo essere nato e vissuto nello stesso luogo per nove anni. Era il 1956 quando andammo ad abitare a Sesto San Giovanni, in Via Magenta 115, ed io avevo appunto nove anni. Del giorno del trasloco ho un solo ricordo perché ritengo di avere rimosso tutto il resto: mia madre fece bruciare il sugo della pastasciutta, tanto era agitata, e fu l’unico sugo bruciato in tutta la sua vita. Diversi giorni prima aveva già provveduto ad impacchettare e mettere negli scatoloni le tante cose della casa, il vasellame, i libri, i giocattoli, per non parlare poi degli indumenti, delle coperte e della biancheria.
Alcuni anni dopo il trasloco mi sono un poco identificata in una canzone di Celentano “Il ragazzo della Via Gluck” dove ad un certo punto il ragazzo diceva ad un amico che “sarebbe andato a stare in città e lo diceva mentre piangeva”. Io però non ho pianto, almeno non me ne ricordo. Le emozioni in quel momento erano tante e forti : avrei lasciato, in maniera definitiva, tutto il mio mondo fino ad allora conosciuto, la casa dove ero nata, i miei compagni di gioco, il cortile, la Madonnina e tutte le persone care che conoscevo e che mi conoscevano da sempre. Tutti loro sarebbero rimasti a Restellone mentre io invece me ne stavo andando per non tornare piu’.
Dopo questi pensieri e per cercare di riprendermi, di farmi coraggio, mi raccontavo che sarei andata ad abitare in una casa tutta nuova e bellissima. Quando trepidanti arrivammo alla nuova casa, appena varcata la soglia, scoprii che c’era un balcone, mai avuto prima perché a Restellone si abitava a piano terra. Ancora un poco confusa ma inebriata dall’odore di tempera e calce che solo le case ancora mai abitate possiedono, mi ci sono precipitata e sul davanzale di alluminio, verniciato di rosso, qualcuno, forse con un chiodo, aveva vergato con uno stampatello incerto: “Chi abita qui ha il sole in fronte”.
Dal balcone mi attendeva lo sfavillante verde non di un prato, bensi’ di una immensa prateria , almeno cosi’ mi era parsa allora, con alcuni pioppi in lontananza. Poco piu’ in là, ma questo lo scoprii solo dopo qualche tempo, c’era una casamatta dove, con curiosità e finto raccapriccio, noi bambini del cortile scoprivamo ogni giorno strane bianche spoglie umane : gambe, braccia, tronchi. Venivano una volta li’ ammonticchiati dal vicino Policlinico, che era in Via Fratelli Bandiera, senza alcun riguardo, apparecchi gessati divenuti obsoleti.
Il nostro paradiso terrestre ebbe però una breve durata : finite improvvisamente corse, capriole, inseguimenti, maggiolini e lucciole perchè la nostra “immensa prateria privata” venne invasa da un’orda di operai, muratori, tutta recintata e tutta stravolta dalle rumorose scavatrici e gru che davano il via ai lavori per la costruzione di quello che a breve sarebbe divenuto l’Ospedale di Sesto San Giovanni.
Inizio dei lavori nell’anno 1958
Termine lavori e inaugurazione il 22 aprile 1961