Buongiorno a tutti! Seguo qui con un'altra pagina del diario inedito su Dahab, buona lettura!
I tetti di Dahab sono tra quei luoghi sulla cui completa realtà non si scommetterebbe. Danno sul mare e sul Sinai. Raramente qualcuno li utilizza. Salirvi di nascosto è un segreto delizioso. Con essi sovrastando Dahab si ha un rapporto di assistenza segreta. Sono loro che insegnano il ruotare del tramonto, l'alba inviolata, gli strati delle catene montuose, le maree assoggettate alla luna, le numerose lingue del vento e tutte le sue coreografie. Lassù si può diventare gatto e all'insaputa di tutti rubare lezioni alla luce. Là i passi non tradiscono alcun rumore. Come ombre, si conquista a larghi balzi l'ampia generosità di spazi di questi maestri, camminando scalzi tra cuscini abbandonati, sedie in disuso, oggetti di scarto di hotel e negozi: narghilè rotti, agende arabe, vetri, eliche, tappeti impilati, cassetti, canne di bambù… Piove quattro volte l'anno: i tetti rappresentano un'ottima alternativa alle cantine.
La notte senza luna essi insegnano l'oscurità dell'uomo e la scienza delle stelle. Lì ci si sdraia all'insaputa di tutti su un letto di cuscini carichi di polvere per adorare l’universo, dove l'estate si porta il proprio materasso per i quarantacinque gradi che rendono impossibile dormire. Nel fare ciò si riconquista quella che si sente come una seconda casa - seconda, sì, ma “casa” da sempre.
Nelle notti di luna piena, i tetti di Dahab insegnano la visione di una vita d'argento fino alla più piccola fessura, quando si vestono di tappeti del prezioso colore impalpabile, femminile. Permettono di saltar fuori dai quadri di strada e di osservare il luogo dei sogni da una prospettiva superiore. E' da lassù che si riesce ogni volta ad abbracciare anche qualsiasi schiaffo preso. Vicoli d'argento, delfini nella baia, dolorose bugie o tradimenti di viaggio non fanno differenza: da là è DAHAB che si vede, Dahab che respira, e Dahab è qualcosa che si possiede ancora prima di averla immaginata. E' dalla loro superficie che ogni giorno il passante può dirle: “Sei mia.” Senza di loro non sarebbe così facile sorvolare la colonia dei sogni. Sono i tetti che condividono le estasi schiacciate dal cielo, le preghiere, i panni stesi, lo spionaggio tra gli oggetti rosicchiati solo dal vento, perché qui la pioggia non sa mordere. La solidità dei tetti di Dahab è una pista di atterraggio per anime di gatto. E' un piano di decollo per apprendisti ricercatori dello spirito.
Corridoi di grate traforate collegano dall'alto sezioni d'albergo con altre. Da lassù si ha in pugno struttura, intimità e apertura. In questo mondo di vecchi infissi e cavi spezzati si spia l'Arabia diventare rossa come l'Ayers Rock nei suoi cinque minuti di gloria.
Qual è il segreto dell'abbraccio di queste ringhiere? Qual è la legge fisica che adesso fa levitare l'Arabia sopra il Mar Rosso come un fenicottero rosa? Da lontano le carezze morbide delle palme arrivano nell’immaginazione. Il momento arduo da sopportare è una mezz'ora dopo il tramonto, quando la luce langue in agonia: meglio scappare al piano di sotto, nell'attesa che si consegnino solo le stelle. Si diventa infermieri del cielo nell’accompagnare il sole giù senza perdersene nemmeno uno spasmo, sentendosi in colpa e un po' traditi per ogni tramonto e ogni Arabia a fuoco persi mentre si era lontani. Qui si diventa missionari dei tramonti e del rosa delle rocce. Badanti del vento inquieto, in ore che ad altri parrebbero inoperose.
(Tutte le foto della rubrica sono state scattate dall'autrice stessa; ulteriore materiale qui: www.dahabtravel.eu)