Rieccoci all'incontro con la pagina quotidiana di diario scritto in nove anni per Dahab (Sinai, Egitto). La pagina di oggi, se me lo permettete, la dedicherei alla mia prima creatura, l'opera prima scritta nel lontano 2006 quando assistetti all'attentato terroristico di Dahab - libro che ha vinto, assieme ad altri due, il premio Opera Prima Rhegium Julii nel 2007 e che ora, svincolato dai diritti editoriali, ho ripubblicato in proprio come ebook in Amazon (da ieri).
"Una vicenda pubblica che diventa privata. L’intimità di una relazione che si fa universale. Testimone di un attacco terroristico in Egitto - 24 aprile 2006 - Sonia Serravalli apre il proprio cuore in un racconto intenso e commovente quanto crudo e realistico. Ricostruendo i fatti con attenzione, l’autrice rivive la voglia di reagire, di andare avanti, di farsi testimone di quanto accaduto, accompagnata dall'urgenza di capire il mondo altrui. Il coraggio di sopravvivere in un luogo fuori controllo. L’inizio di una storia con un fondamentalista, la difficile costruzione di un ponte tra Occidente e Islam, tra una donna e un uomo che si amano e si temono allo stesso tempo. Ma anche il tentativo continuo di ascoltare, di capire, mentre, immersi nel massimo lirismo, la lista delle domande supera quella delle risposte.
«Ieri sera, quando ancora una volta ho toccato la nostra diversità tagliente, mi sono sentita aprirsi dentro una tristezza vasta come un colore, mi sono sentita come se avessi appena ingoiato un intero campo di tristezza.
Sdraiato al mio fianco, in quel momento mi hai chiesto come stavo»."
Dopo gli ultimi eventi e le notizie sugli ultimi gruppi terroristici tra l'Africa, il Medioriente e l'Europa, sono rimasta sorpresa dal trovarlo tanto attuale, dopo averlo riletto e rifinito nove anni dopo la sua stesura. Qui il link al testo per voi e qualche estratto qui sotto: http://www.amazon.it/Loro-di-Dahab-Creando-ponti-ebook/dp/B00SPLCVSA/ref=sr_1_7?ie=UTF8&qid=1422203230&sr=8-7&keywords=sonia+serravalli GRAZIE
Pag. 29:
"Quando assisti dall’interno a un attentato terroristico nel luogo che hai scelto come sede della tua vita, il primo pensiero corre all’ipotesi di un incidente, di un errore umano. Non può essere che il terrorismo dagli schermi televisivi sia potuto arrivare fin lì, a rovinare il sonno di una comunità così piccola e sconosciuta...
Ora qui si dice che Dahab abbia perduto la propria innocenza. Dahab è una donna non più vergine. Ciò comporta stupore, delusione, rimpianto, ma anche maggiore saggezza, forza, determinazione. Prima Dahab era un sogno da realizzare, correvamo dietro al suo aquilone di spiagge cristalline e scenari esotici come mosche confuse da tanto splendore. Adesso l’immagine di sogno che ci scivolava davanti ci è stata sbalzata direttamente dentro l’anima, e tutto è diventato più realistico e concreto. Adesso abbiamo l’impressione di sapere esattamente cosa fare e di poterlo toccare. Dall’istante dell’esplosione Dahab ci è stata scaraventata dentro, con il notevole risultato di renderci tutti più incisivi. Ora finalmente anche Dahab è diventata adulta, e noi con lei. Assaporiamo ogni bracciata in questo mare con un’intensità che prima non percepivamo. Lo sguardo del nostro vicino adesso ha una profondità che comprendiamo al volo con complicità e silenzio. L’aria ha un sapore più vero e più pieno, e anche il volo di una mosca viene salutato come una firma gioiosa sull’arazzo della vita.
Prima eravamo tanti pezzetti di un puzzle, ora siamo un disegno. Restiamo insieme quasi ventiquattro ore su ventiquattro. Alla ricostru-zione partecipano tutti, proprietari, vicini, passanti. Si lavora notte e giorno con, misto al lutto, un fondo di festa negli occhi."
Pag. 62:
"Come una bambina ladra, in perfetto silenzio, salivo sul piedistallo di pietra posto sotto la finestra per permettere a tutti di scivolare con una mano all’interno e aprire così la porta senza bisogno della chiave. Era allora che, come un amore, mi assediava quell’odore. Mi possedeva. Non potevo evitare di crederlo mio per sempre. Lì dentro c’era l’essenza della casa, una punta di polvere, odore di acqua minerale evaporata, la nota fondamentale del calore dei muri e delle fibre tessili di vestiti e materassi, odore di terra sotto le scarpe, di cucina e coriandolo, di sigaretta, appena un poco, e di perenne estate, come un interminabile fuoco di campo. L’odore di pelle. Di lui. Avvolgente e rincuorante come un inno nazionale, come un ricordo d’infanzia. Quell’odore conteneva anche una contraddizione interna. Da dove poteva provenire tutto quel calore e quell’essenza di tana amorevole, in un luogo in cui aveva posto la propria base un uomo che credeva nella guerra e che quotidianamente nutriva i propri sogni di vendetta? Un uomo in grado di uccidere un altro uomo almeno in venti modi diversi nell’arco di pochi secondi, e religiosamente predisposto a questo?
Così come nel sentimento che nonostante tutto questo continuava a unirci, lì dentro quell’odore vibrava con tutta l’irriducibile vitalità della sua virile protezione, la sua lealtà vorace, la sua genuina passione e l’incredibile dolcezza a cui un uomo potenzialmente pericoloso poteva arrivare con la sua donna."
Pag. 63:
"Quel che mi faceva male era il suo bisogno di un grande nemico. Non si rendeva conto di quanto identificare un “cattivo” contro cui scagliarsi fosse a monte un bisogno profondo che stava schiavizzando allo stesso modo arabi e occidentali. Nella sua posizione, il più bell’e comodo pretesto per poter esercitare il suo indubbio valore e i suoi più alti ideali di giustizia. Ma riferirsi a ciò che stava più “a monte” gli risultava sempre apparentemente impossibile. Come se stessimo sempre guardando una fotografia con una diversa definizione, io restavo sempre concentrata sull’a-priori e l’a-posteriori, lui sempre sull’oggetto storico concreto e definibile più vicino al presente. Oppure facevamo iniziare le storie da momenti diversi. Sospettavo che entrare nei miei panni avrebbe toccato troppo da vicino le basi su cui aveva costruito la sua stessa identità, storica e personale - esattamente quello che invece stavo rischiando io. Così, con un leggero e profondo dolore, le parole finivano, e ci si fondeva come anime gemelle, in quell’amore così mirabilmente biunivoco, così inspiegabilmente equo, in quantità e qualità, in quel luogo dove si può volare al di là di tutto e ancora amarsi e stimarsi, con poche precauzioni e non pochi rischi, poca logica e sempre impegnativo, tangibile e innegabile, sentimento.
Lo toccavamo, lo modellavamo, bevevamo di lui. Da tutte le parti mi assediava l’odore prediletto dei nostri sudori nella fusione, l’aroma esclusivo di quella casa, l’odore buono del suo esserci ancora, fuso con me nell’avvolgimento totale sotto il ventilatore, nel calore di notti di luglio ventose e pomeriggi di sabbia ed acqua calda. Ovunque. Quella della bottiglia lasciata ai piedi del letto diventava come tè. Dalla doccia l’acqua fredda era solo un lontano ricordo di un inverno che non avevo vissuto con lui. Da tutti i rubinetti, comunque li si girasse, usciva solo liquido bollente."