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Vito Pagano: "AMIGDALA": Un film che riuscirà ad inchiodare... anche i vostri ricordi!!

"Steven Soderbergh" è con te che vorrei lavorare: l'appello del regista emergente!

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L'Ospite di oggi, cari lettori del nostro quotidiano, è un regista emergente, Vito Pagano, che vi preannunciamo farà parlare a lungo di se!

L'intervista che andrete a leggere godrà di ben 4 traduzioni. Inglese, Spagnolo, Rumeno, Cinese...perchè Vito ha i polmoni gonfi di respiro, un respiro che abbraccia il mondo dei cinefili e dei cineasta.

Pugliese di nascita, romano di adozione, nasce il 4 marzo 1982.

Videoperatore, regista, sceneggiatore, vanta lavori con grandi nomi del cinema italiano e straniero: da Penelope Cruz a Claudia Cardinale, Alessandro Siani, Carlo Verdone, Claudio Bisio, Emile Hirsch, Franco Nero, Paola Cortellesi, Leonardo Pieraccioni, Sergio Castellitto, Pasquale Squittieri e molti altri.

Gli studi scolastici e professionali in campo artistico-architettonico prima e psicologico-pedagogico poi, lo hanno portato a sviluppare, in campo video e cinematografico, una visione dei soggetti che va oltre all’immagine da filmare.

Riuscendo a capire emozioni e sentimenti, riesce a riprendere con le sue telecamere, immagini che hanno una loro “vita” oltre l’immagine stessa.

Quasi che lui riesca a vedere ciò che di nascosto c’è dietro una persona o dietro un paesaggio.

Profondamente sensibile nei rapporti umani e interpersonali mette a proprio agio chiunque si ponga di fronte alle sue videocamere riuscendo a coordinare con grande maestria le esigenze di tutta la troupe.

La sua versatilità e la sua grande passione per le video riprese gli ha permesso di lavorare in ambientazioni e tematiche diverse, ne sono esempio documentari di vario genere, film commedia (Sotto una buona stella, Benvenuti al Nord, Un fantastico via vai….), film d’autore (Father, Venuto al mondo…) , fiction nonché videoclip e video reportage e matrimoniali (PubbliEdit srl di Roma).

Ha ideato, prodotto e realizzato il lungometraggio Amigdala, thriller psicologico di grande spessore in post produzione alla data attuale.

Regia backstage di film quali; ACAB, BENVENUTI AL NORD, VENUTO AL MONDO, UN FANTASTICO VIA VAI

L'Intervista

Quando ti sei accostato per la prima volta al mondo "artistico"?

Credo di essere sempre appartenuto al mondo artistico, sin da quando da piccolissimo, mi accorsi di avere una mano portata per i disegni, ero sempre il migliore della classe in quello, e ho continuato a sviluppare questo dono fino agli anni del Liceo Artistico. Ma nonostante mi piacesse molto disegnare, sentivo che il solo disegno non fosse abbastanza potente come forma d’arte per esprimermi, finche il cinema è corso in mio aiuto, e a dirla tutta questo è accaduto ancor prima di accorgermi di saper disegnare, ma all’ epoca non potevo seriamente pensare di fare cinema. Adoravo i film come puro intrattenimento e mi aiutavano a identificarmi negli eroi che avrei voluto essere nella vita reale. Lì è cominciato il mio viaggio, e il mio conflitto, tra sogno e realtà.

E oggi, cosa ti spinge a continuare questo percorso?

Col tempo ho capito che il cinema era la mia vita, non solo un hobby o una cosa divertente da fare. Ma ci ho messo un po’ a capire quale ruolo avrei potuto rivestire nel cinema, considerando le tantissime categorie tecniche. Finchè un giorno ho capito quale potesse essere il mio ruolo, e l’ho capito perché avevo il carattere giusto per poterlo fare: ero un adolescente irrequieto, introverso e oscuro, silenzioso ed emarginato, sempre in conflitto con un mondo che non riusciva a comprendere perché non era come quello dei film. E allora ho deciso; vorrei essere colui che sta dietro a tutto e che tutto comanda, scruta, manipola, ma non per manie di protagonismo, ma solo per potermi analizzare e capire chi fossi. Ho cominciato a vedere il cinema come una forma dispendiosa di psicoterapia e sono andato avanti. Per farla breve, il cinema mi aiuta a capire chi sono e questo è fondamentale per uno come me.

Chi ringrazieresti per il successo ottenuto?

Non so se posso parlare di successo ottenuto anche perché non ho mai desiderato il successo, inteso come riflettori e redcarpet, non fa per me, sono ancora quell’ adolescente discreto e riservato. Credo che in questo mondo non ci si debba mai sentire arrivati, perché è sempre tutto in continua evoluzione. Ma se proprio devo ringraziare qualcuno patirei dai miei genitori che non mi hanno mai impedito di intraprendere questo viaggio. Ringrazio mio padre, per tutte le volte che mi ha portato al cinema, per le videocassette noleggiate e comprate, per avermi aspettato ore e ore al centro commerciale perché io scegliessi la cassetta che più mi piaceva. Lo ringrazio per gli abbonamenti a Tele +1 (oggi Sky) e per tutte quelle volte che magari avrà anche sofferto in silenzio per questa mia scelta. Ma lui ha avuto più coraggio di me a lasciarmi libero di andare e trovare la mia strada.

Un’altra persona che ringrazierei è Marco Demarco, colui che mi ha insegnato il mestiere tecnico del cinema quando sono venuto a Roma. Mi ha preso a cuore e mi ha insegnato a usare la steadicam con la quale mi guadagno da vivere. E mi ha permesso di realizzare il mio film mettendomi a disposizione le attrezzature del suo service 4UVIDEO maker.Senza di lui non so proprio come avrei fatto. E infine vorrei ringraziare tutti i registi che mi hanno formato e influenzato nel mio percorso di crescita, ma fra tanti ne ringrazierei uno in particolare: Steven Soderbergh, che quando nel 2001 vinse il suo oscar per la regia di Traffic, fece un discorso di ringraziamento che mi spiazzò. Il discorso fu il seguente:

“Vorrei dedicare questo oscar a tutti coloro che nel mondo, dedicano anche solo 5 minuti della loro giornata, a creare qualcosa di artistico, che sia un film, o una coreografia di danza, o una melodia musicale. Il loro contributo quotidiano renderà il mondo dell’arte sempre più prospero”. Mi sentii molto vicino a quelle parole, erano le sette del mattino, mangiai una mela e mi misi a scrivere la mia prima sceneggiatura, che era un disastro e che non ho mai realizzato, ma non importa. Ebbi la spinta e l’incoraggiamento per cominciare a osare. Il resto è storia.

Un aneddoto che mentalmente non ti lascia…

Ce ne sarebbero diversi, tra cui il mio incontro con Tim Burton a Venezia, o la steadicam in diretta sul redcarpet per Sylvester Stallone, o l’aver lavorato con un regista come Sergio Castellitto e attori dal calibro di Penelope Cruz e Emile Hirsch. Ma scegliendone uno, direi che quello che mentalmente non mi lascia riguarda il giorno in cui capii che volevo essere un regista. Avevo 15anni e aspettavo il bus per tornare a casa da scuola. Era Marzo e la primavera cominciava a farsi sentire. C’era un vento molto forte, scirocco, e il sole stava tramontando.

E mi sono soffermato su come ogni elemento cominciasse ad animarsi per via del vento che muoveva tutto. Il primo elemento ad attrarre la mia attenzione fu una busta bianca che volava dappertutto, aveva una grazia nel muoversi che mi faceva pensare a una danza perfetta. Poi ho spostato gli occhi su altri dettagli come le chiome degli alberi, i capelli dei passanti, il pelo di un barboncino che passava lì in quel momento. Era tutto perfettamente sincronizzato, come se qualcuno da lassù orchestrasse tutto. Capii che quello era un momento fondamentale della mia vita, del mio film, e c’era tutto: la scenografia, le comparse, la luce giusta, e anche una gigantesca e invisibile macchina del vento che dava vita a ogni cosa. Ho pensato che Dio in quel momento mi stesse facendo questo regalo, e ho anche pensato che Lui fosse il più grande regista di tutti i tempi.

In quel momento ho capito che potevo esprimere me stesso senza farmi necessariamente vedere e tutto mi fu più chiaro. Ho capito che potevo diventare l’eterno invisibile che tutti potevano vedere. E ogni volta che giro qualcosa di mio, e sono in difficoltà, ripenso a quel momento e alla gioia che provai. E’ sempre una questione di attimi, di momenti che in qualche modo sollevano il gran polverone dinanzi a te e tutto ti sembra più lucido e chiaro. E a questo aneddoto ne è legato un altro: 2 anni dopo ritrovai l’immagine della busta bianca nel film American Beauty e pensai che forse anche Sam Mendes aveva vissuto quel momento e lo aveva inserito nel suo film. E’ stato meraviglioso. -

Parlami del tuo ultimo "progetto" ...

E’ sempre difficile parlare di un qualcosa che dovrebbe parlare da sola ma ci proverò comunque. Innanzitutto vorrei esprimere un mio personale concetto che riguarda le idee; non credo che noi siamo generatori di idee ma solo strumenti. Io vedo le idee come dei flussi invisibili che già esistono e che si prendono del tempo per scegliere la mente da abitare, per poi venire al mondo. Un po come se noi, prima ancora di nascere, ci scegliessimo i nostri genitori per poi non aver alcun ricordo di questa cosa una vola nati. L’idea di Amigdala mi è stata suggerita casualmente e involontariamente da un mio amico che fece una battuta: eravamo sul set di un corto e ci prendevamo un caffè. Vicino a noi c’era la valigia delle ottiche con una combinazione. A un certo punto lui fa:” Vito, ci pensi se la combinazione della valigetta fosse 666? Il numero del Diavolo?’”

Da lì in poi la mia mente è stata letteralmente ingravidata da uno sperma invisibile che ha generato tutta una serie di immagini e concetti che mi hanno portato da lì a 8 mesi a scrivere la sceneggiatura. Ne fui completamente rapito e capii che quell’idea scelse me. E poi è arrivato il momento della scelta, ossia se fare davvero il film da solo, cioè senza produzione, o no. Ho sempre saputo che l’incoscienza è un difetto ma in quel caso non lo è stato: mi sono buttato ingenuamente in una sfida più grande di me, che andava oltre le mie possibilità, e quando mi sono trovato a girare ho dovuto fare i conti con numerose difficoltà di organizzazione, location, attori, troupe, e ho rivestito diversi ruoli. E ho interrotto più volte le riprese per riorganizzarmi ogni volta e andare avanti. Nel cammino ho perso dei pezzi della squadra che ho dovuto sostituire, fino ad arrivare a finire il film da solo, nelle vesti di regista, direttore della fotografia, operatore e macchinista.

Ma è stato anche divertente. Insomma, ho fatto un film nell’unico modo in cui un film non si dovrebbe mai girare ma era l’unico modo per farlo. Alla fine capisci che devi fidarti del tuo istinto a prescindere da quello che ti aspetta. Se devo vincere o fallire, preferisco farlo in grande. Sono cresciuto assieme a lui perciò penso che per questo motivo potrà essere speciale. Staremo a vedere.

Per realizzare il tuo sogno, con quale attore o autore vorresti lavorare?

Ho gia avuto modo di lavorare su grandi set, con registi quali Sergio Castellitto, Luca Miniero, Leonardo Pieraccioni , Carlo Verdone e Stefano Sollima. Ho realizzato i backstage dei loro film e ho appreso molto da ognuno di loro. Sinceramente il cinema italiano non mi soddisfa molto perciò non saprei dire un autore o regista con cui mi piacerebbe lavorare, a parte Garrone e Sorrentino che si sa, sono gli unici veri maestri di questa generazione. Se considerassi l’America non finirei più, con Steven Soderbergh di sicuro e magari riuscire anche a ringraziarlo di persona per quel discorso agli oscar.

Definisciti in tre parole.

Introverso. Sognatore. Incosciente.

Se tornassi indietro cosa non rifaresti?

E’ una di quelle domande alla quale chiunque vorrebbe o potrebbe rispondere. Devo essere sincero: io oggi sono fiero di quello che sono e quello che sono dipende da tutte le scelte che ho fatto o che non ho fatto in passato. Anche i 4 anni di università nella facoltà di Scienze dell’Educazione e della Formazione non sono stati inutili. Ho appreso molte cose interessanti a livello umanistico e lì ho studiato la funzione dell’amigdala che poi è diventato un film. Credo che tutto sia collegato nella vita L’unica cosa che non rifarei è la mia scappatella di casa a 17anni.

E’stata davvero una cosa inutile e tutt’oggi mi chiedo se i miei mi abbiano perdonato per quella cazzata. Potevo davvero risparmiarmela. Era sicuramente un modo per attirare l’attenzione perché ero sofferente. E non avevo il coraggio di parlarne con qualcuno. Insomma se tornassi indietro non prenderei quel bus verso le Marche e non lascerei il cellulare a casa. Questa è davvero l’unica cosa che non rifarei.

Cosa consiglieresti ai giovani che si vogliono accostare al mondo del cinema?

Non so se sono nelle condizioni di poter dare consigli, sono giovane e non ho tantissima esperienza. Ma ora che ci penso direi solo questo: affidatevi alla paura e non abbiate paura di affidarvi alla paura. Ho scelto di fare il mio film perché mi serviva un’esperienza che mi facesse capire quanto amassi il cinema. Per capire se ero solo un cinefilo o potevo essere anche un cineasta.

Per questo film ho pianto tanto, stavo sempre li per mollare tutto, ho sofferto in silenzio, ho perso fiducia in me stesso etc. Ma il film non lo ha fatto. Il film non si è pentito di avermi scelto, non ha pianto, non si è arreso, non ha voluto cambiare regista, non ha perso fiducia in me. Quando ho capito che solo la paura poteva farmi arrivare al traguardo ho ripensato a tutta la mia vita e mi sono detto:” Vito, se vuoi davvero capire chi sei, questo film è un occasione unica e irripetibile, come lo sei anche tu. Perciò piantala di frignare e alza il culo.” E sono andato avanti.

Il problema di questo mestiere è che nessuno può davvero insegnartelo, neanche nelle scuole, e questo perché è sempre la persona che fa il regista. E per capire che tipo di film puoi fare devi capire chi sei tu e per fare questo devi affidarti alla paura e per affidarti alla paura devi avere abbastanza cuore e palle. Perciò dico loro, credeteci e basta, non imitate troppo i vostri idoli, cercate un vostro stile come nelle vostre vite, e armatevi di infinita pazienza. La perseveranza vince sempre su tutto.

 E noi di Stelle di Giorno vi diamo appuntamento alla prossima intervista con Vito Pagano...perchè sappiamo benissimo che questa sarà la prima di una lunga serie!

 

http://www.cassandramlm.com/partner/vito-pagano.html

http://www.youtube.com/watch?v=HBCkibHQgjA  

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